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Hotspot, criticità sull’emergenza migranti

Piero Innocenti il . Senza categoria

hotspot-migrantiMentre l’UE continua con la politica (spesso inconcludente) dei piccoli passi in tema di emergenza immigrazione proveniente dai paesi africani e il nostro Governo pensa, illudendosi, di arginare con il memorandum firmato a Roma alcuni giorni fa con il presidente Serray i flussi in partenza dalla Libia, ci sono alcuni punti che meritano attenzione. Tra questi, la presenza di navi delle Ong che prestano soccorso in mare oltre al dispositivo di Frontex. Presenza che non è sempre particolarmente gradita perché queste imbarcazioni (almeno una decina), navigando in prossimità delle acque territoriali libiche, e spesso spingendosi all’interno delle stesse, rappresenterebbero un “fattore di attrazione” per i migranti e gli stessi trafficanti, sicuri di poter fare affidamento su soccorsi in tempi rapidi dalla partenza dalle coste libiche.
Proprio negli ultimissimi giorni questo dispositivo delle Ong ha soccorso e tratto in salvo, in ripetuti interventi, oltre un migliaio di migranti mentre nel 2016 furono oltre 44mila quelli soccorsi in più di 400 interventi.
C’è poi un segmento del sistema di accoglienza che presenta alcune problematicità ed è quello degli hotspot. Proviamo a riepilogare la materia partendo da quando -era il 13 maggio del 2015- la Commissione Europea introdusse nell’Agenda sulla migrazione il cosiddetto “approccio hotspot”, basato cioè sulla individuazione dei “punti di crisi” sul territorio di uno o più Stati membri e definendo così alcune procedure operative per meglio affrontare l’emergenza migranti. Il 28 settembre 2015 l’Italia aveva presentato, rispettando la Decisione del Consiglio UE 1504/2015, un piano (road map) in cui venivano descritte le varie procedure organizzative per affrontare l’emergenza migratoria tra cui, appunto, l’istituzione degli hotspot. Allo stato ci sono quattro strutture indicate hotspot e precisamente a Lampedusa (attivato dall’1 ottobre 2015), a Trapani (dal 21 dicembre 2015), a Pozzallo (dal 19 gennaio 2016) e a Taranto (dal 29 febbraio 2016).
Il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione ha affidato da alcuni mesi all’Agenzia per lo sviluppo (Invitalia) il progetto per la realizzazione di strutture di supporto per gli sbarchi di migranti nelle zone portuali di Corigliano Calabro (CS), Crotone e Reggio Calabria. La capacità ricettiva complessiva dei quattro hotspot è di 1.600 posti, spesso insufficienti per fronteggiare i consistenti sbarchi di migranti e ciò impone l’utilizzo di altri porti in località che non sono sedi di hotspot. Manca, inoltre, una precisa qualificazione giuridica degli hotspot e si è rimasti un po’ nell’ambiguità tant’è che le strutture di Lampedusa e di Pozzallo risultano ancora Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA), Trapani addirittura Centro di identificazione ed espulsione (CIE) e Taranto non si sa bene cosa sia.
Presso gli hotspot viene assicurata la presenza costante di rappresentanti delle agenzie europee Frontex, Europol, EASO con compiti ben definiti oltre a UNCHR ed OIM per gli aspetti di competenza in tema di informazioni sul diritto d’asilo, sulla individuazione di soggetti vulnerabili e sulle vittime di tratta. Lo svolgimento delle varie attività all’interno degli hotspot è disciplinato dalle cosiddette “SOPs” (Standard Operating Procedures), una guida operativa redatta a marzo del 2016 dal Dipartimento delle Libertà Civili e l’Immigrazione e il Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Altro punto dolente, che potrebbe essere fonte di problemi di varia natura, è quello della assenza di norme che disciplinano il trattenimento e le procedure da seguire per arrivare alla identificazione dei migranti “ospitati” negli hotspot. Su questo specifico punto si ritiene che sia applicabile la norma che disciplina il “fermo di  identificazione” e che impone l’obbligo di segnalazione al Procuratore delle Repubblica entro le 24 ore e la successiva comunicazione del rilascio dello straniero. Si tratta, come è intuibile, di un termine perentorio che, secondo una ragionevole interpretazione, dovrebbe decorrere dal momento in cui la Polizia ha a disposizione il migrante per svolgere le attività di identificazione e di fotosegnalemento e non da quando il migrante, soccorso, è sottoposto a prestazioni di natura sanitaria o di profilassi o di altro genere. Al primo febbraio scorso, la percentuale dei migranti sbarcati presso gli hotspot è stata del 26% con una percentuale di persone fotosegnalate dalla Polizia Scientifica pari all’84% mentre i migranti sbarcati in porti non sedi di hotspot sono stati poco più del 73% del totale (fonte, Ministero dell’Interno).

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