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Lo stato delle tossicodipendenze in Italia

Piero Innocenti il . Istituzioni

tossicodipendenzeNon so se qualcuno dei Senatori della Repubblica (o dei loro assistenti) ha avuto la pazienza (in dosi massicce) di leggere con l’attenzione richiesta le 550 pagine della Relazione sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia (anno 2015 e primo semestre 2016) presentata il 6 dicembre 2016 dall’allora Ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi. Il voluminoso documento, redatto dal Dipartimento delle Politiche Antidroga ai sensi dell’art.131 del testo unico sugli stupefacenti, norma che prevede la presentazione della relazione entro il 30 giugno di ogni anno, per chi riesce a leggerlo e a studiarlo senza attacchi di cefalea offre numerosi spunti di riflessione (e di sconcerto) sulla dimensione del fenomeno delle tossicodipendenze ed i suoi riflessi sanitari, sociali e sulla sicurezza pubblica.
Così come è sconcertante che le Nazioni Unite (le prime settantacinque pagine della relazione sono riservate alla Sessione Speciale delle Nazioni Unite tenutasi in aprile 2016 sul problema mondiale della droga) abbiano dedicato spazio ad un fenomeno, causa principale di profondi e destabilizzanti inquinamenti istituzionali in molti paesi, a distanza di ben 18 anni dall’ultima edizione. Intendiamoci, non è che l’Assemblea abbia risolto il “problema mondiale della droga”. Gli interventi e le osservazioni fatte dalle varie delegazioni governative (presenti anche rappresentanti di Ong e della società civile) sono stati abbastanza ripetitivi e scontati, ancorati, come sempre, alle tre Convenzioni sulla droga da “..applicare in maniera più bilanciata, efficace e umana”, al riconoscimento del consumo di droga come questione sanitaria, alla persona umana da porre al centro delle politiche nazionali in materia di droga, al principio di proporzionalità dei sistemi penali per le violazioni in materia di droga (punto, questo, trascurato in molti paesi).
Anche gli interventi (riportati integralmente nella relazione in argomento) del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, capo delegazione, e degli “alti” funzionari che l’accompagnavano, sono stati tutti abbastanza scontati e “allineati” alle dichiarazioni dell’UE. Il documento finale della Sessione Speciale intitolato “Il Nostro impegno congiunto per affrontare e contrastare il problema mondiale della droga” (dove quel Nostro è davvero maiuscolo!), dopo un preambolo di ventiquattro “conferme”, “riconoscimenti”, “riaffermazioni”, “sottolineature”, accompagnate da ipocrite “espressioni di profonda preoccupazione”, contiene una serie di “raccomandazioni operative” sulla riduzione della domanda, sulla prevenzione e il trattamento e su altri problemi relativi alla salute, sui diritti dei giovani, delle donne, dei bambini, sulle nuove sostanze psicoattive e l’uso non medico e improprio di prodotti farmaceutici (problema serissimo negli Usa), sul rafforzamento della cooperazione internazionale basato sul principio della responsabilità comune e condivisa (principio sempre sbandierato in occasione di questi incontri internazionali), sulla riduzione dell’offerta con adeguata attività di prevenzione e di contrasto della criminalità.
Si tratta, insisto sul punto, di “raccomandazioni” che non hanno mai portato a risultati concreti, ma sono serviti a “giustificare” l’esistenza di molteplici organismi e strutture, nazionali e sovranazionali, collegati ad un fenomeno mondiale, quello delle droghe e della criminalità collegato, che viene esaminato, analizzato, valutato ma mai affrontato per una soluzione definitiva perché così scomparirebbero anche quegli organismi (con gli annessi e connessi). Così, anche in quest’ultimo ambito, si ripetono, stancamente, concetti, espressioni e inviti triti e ritriti come quelli di “..aumentare la cooperazione a tutti i livelli per prevenire e ridurre (..) le coltivazioni illegali (che, in diversi paesi, sono sempre le stesse o addirittura aumentano di estensione), per “..monitorare i trends attuali e le rotte del traffico di droghe e condividere esperienze..”, per “..migliorare le capacità delle forze dell’ordine e delle agenzie della giustizia penale..” (le cui risorse umane sono sempre più ridotte), per “rispondere alle grandi sfide poste dal crescente legame tra il traffico di droga, la corruzione e le altre forme di criminalità organizzata tra cui la tratta di esseri umani, il traffico di armi da fuoco, la criminalità informatica e il riciclaggio di denaro (..) incluso il riciclaggio diretto al finanziamento del terrorismo..”.
Insomma, tanti bei propositi che vengono “riproposti” a distanza di tempo senza che, nel frattempo, ci siano stati apprezzabili risultati nell’azione generale contro le droghe. Un capitolo, infine, mi pare contenga dati piuttosto drammatici ed è quello relativo alla “analisi sui dati della popolazione studentesca” basato anche su studi, annuali, svolti dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR su un campione rappresentativo degli studenti delle scuole superiori. È davvero sconcertante apprendere che il 34% degli studenti italiani di 15-19 anni abbia utilizzato almeno una sostanza illegale nel corso della propria vita e il 4% ne abbia fatto un uso frequente, abbia, cioè, utilizzato, nel corso dell’ultimo mese dell’indagine fatta, cannabis 20 o più volte e/o altre sostanze illegali (cocaina, stimolanti, allucinogeni, eroina) 10 o più volte.
È ancora possibile credere o sperare che qualche parlamentare affronti il problema con la seria intenzione di provvedere in qualche maniera, prima che sia troppo tardi?

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