La Dna e la lotta ai trafficanti di uomini in mare
Non era stato un lavoro facile quello fatto dalla Direzione Nazionale Antimafia, poco meno di tre anni fa, nella elaborazione di un articolato documento (trentatré pagine) contenente “proposte operative” per la soluzione dei problemi di giurisdizione penale nazionale relativamente agli interventi effettuati dalle unità aeronavali, nelle acque internazionali, nei confronti di navigli usati dalle organizzazioni criminali per trasportare migranti. L’obiettivo era quello di verificare la possibilità di esercitare poteri coercitivi personali e reali per colpire le associazioni a delinquere dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e procedere ai sensi dell’art.416 comma 6 del Codice Penale.
Compito non semplice alla luce delle diverse pronunce di autorità giudiziarie italiane, non sempre convergenti, e per le molteplici norme di diritto interno (in particolare gli artt. 6,7 e 10 c.p., gli artt. 11 e 12 del D.Lgs 286/1998 sull’immigrazione, gli artt.1,2,3,4 5,6,e 7 del Decreto del Ministro dell’Interno del 14.7.2003), del diritto sovranazionale (tra cui gli artt. 77, 78, 79 e 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, gli artt.18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Risoluzione del Parlamento Europeo del 23 ottobre 2013 sui flussi migratori nel Mediterraneo, il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, divenuto operativo il 2 dicembre 2013, che istituisce il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, Eurosur) e di quello internazionale. In quest’ultimo ambito sono stati presi in considerazione soprattutto gli artt. 2,22 e 23 della Convenzione concernente l’Alto Mare di Ginevra del 29 aprile 1958, gli artt. 91,92,110 e111 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982, gli artt. 2, 3 e 5 della Convenzione ONU sul crimine organizzato sottoscritta a Palermo nel dicembre 2000 e art.8 paragrafo 7 del Protocollo addizionale sul Traffico di Migranti per terra, mare e aria, la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, firmata a Londra nel 1974 e ratificata in Italia con la legge 313/1988, la Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio in mare, stipulata ad Amburgo nel 1979 e resa esecutiva in Italia con la legge 147/1989 e, infine, la Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Scopo dell’importante documento “..non è quello di dettare direttive generali per il coordinamento delle forze di polizia o di autorità giudiziarie, ma di contribuire a individuare proposte operative alle quali potranno ispirarsi le Procure Distrettuali chiamate a risolvere, nel corso delle proprie indagini, problemi di giurisdizione in caso di navigli operanti in alto mare ed utilizzati per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Punto, tra l’altro, ben evidenziato e (garbatamente) richiamato in altri passaggi del documento per evitare problemi connessi a prerogative e funzioni anche di altre istituzioni e organismi dello Stato con competenze varie in tema di vigilanza, di prevenzione, di soccorso e di polizia in alto mare. L’esigenza di approfondire la materia era nata da un atto di indirizzo inviato (28 settembre 2013) dal Procuratore Distrettuale di Catania alle forze di polizia del Circondario, relativamente alla problematica giuridica emersa nel corso di attività investigative, in cui la gestione finale dello sbarco sulle coste italiane di migranti era avvenuto su piccole imbarcazioni che avevano compiuto l’ultimo tratto del viaggio in mare dopo aver affiancato il naviglio principale (“nave madre”) rimasto nelle acque internazionali. Si trattava, dunque, di verificare la sussistenza della giurisdizione italiana in relazione alle condotte illecite svolte dalla c.d. nave madre in acque internazionali in raccordo con le piccole imbarcazioni, in vista del risultato finale – il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – nelle varie ipotesi in cui tali condotte possono manifestarsi (nave madre senza bandiera, con bandiera di comodo o con bandiera di altro Stato).
Un gruppo di lavoro ad hoc della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e delle Procure ordinarie del Distretto, alcune riunioni interistituzionali svoltesi verso la fine del 2013 presso la DNA con scambi di esperienze e di informazioni, hanno portato a interessanti considerazioni che sono state alla base delle “proposte” finali esplicitate nel documento in questione dal Procuratore Nazionale Antimafia. Il tema, quindi, della sussistenza della giurisdizione italiana nei casi di sbarchi agevolati dalle c.d. navi madre che stazionano in acque internazionali, è suscettibile, si legge nel documento, di “soluzione favorevole alla luce, in particolare, del Protocollo sullo smuggling annesso alla Convenzione ONU sul crimine organizzato sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000) e ratificata dall’Italia con la legge 146 del 2006.
Detto Protocollo, infatti, ha rappresentato una ulteriore evoluzione rispetto alle soluzioni offerte dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982, ratificata in Italia con la legge 689/1994) sia per l’espressa previsione del reato di smuggling tra quelli legittimanti l’intervento degli Stati in acque internazionali sia perché va oltre il riconoscimento del diritto di visita e controllo sulle navi sospettate in attività di traffico internazionale di migranti ovvero perché privi di bandiera o con bandiera apparente, prevedendo la possibilità di adozione di provvedimenti coercitivi sulle navi visitate , nei limiti consentiti dal diritto nazionale e internazionale.
Un passo importante, dunque, nella lotta ai trafficanti (che mettono spregiudicatamente a repentaglio la vita di migliaia di persone) e che consente di bloccare i mezzi strumentali (le imbarcazioni) e i soggetti criminali (scafisti e basisti) quali uniche contromisure efficaci per contrastare tale attività criminosa. Si conferisce, così, significato all’articolo 8 paragrafo 7 del Protocollo sullo smuggling con strumenti coercitivi: dirottamento dell’imbarcazione, fermo e arresto dei contrabbandieri di persone, pienamente legittimi. Il documento della DNA “propone”, infine, le linee operative, con l’adozione di misure cautelari reali e personali, in relazione a singole situazioni partendo dalla ipotesi in cui si avvisti in acque internazionali un natante che si sospetti “nave madre” e che traini un imbarcazione più piccola, a quella in cui si sia accertato il distacco del naviglio minore entrato nelle acque territoriali, ma con la nave madre sempre stazionante in quelle internazionali, alla situazione (verificatasi diverse volte) in cui venga lanciata una richiesta di soccorso da dette imbarcazioni.
Si tratta, come si vede, di materia particolarmente complessa dove, nelle situazioni operative che ci si trova a fronteggiare in mare, caratterizzate spesso da emergenze ( e anche nell’anno da poco terminato ce ne sono state molte, talvolta concluse tragicamente), si deve intervenire con tempestività e in modo coordinato per salvare vite umane. Anche nel 2016, al 31 dicembre, i 181.283 stranieri soccorsi in mare (record assoluto) dalle navi di Frontex, della nostra Marina Militare e da altre imbarcazioni, i 770 scafisti arrestati ( in prevalenza egiziani, gambiani e senegalesi), per lo più, dalla Polizia di Stato, testimoniano la grandezza del fenomeno migratorio, ma anche l’impegno umanitario e quello di contrastare le organizzazioni dei contrabbandieri di persone.
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