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Sicurezza: l’illusione di garantirla con l’esercito nelle strade

Piero Innocenti il . Senza categoria

esercitoQuando nel lontano 1994 arrivai a Bogotà (Colombia) per iniziare a svolgere la funzione di esperto antidroga per conto della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, rimasi stupito per la presenza, piuttosto visibile nella capitale, di reparti dell’esercito che, giorno e notte, pattugliavano le strade, in pieno assetto di guerra, con armi pesanti e, in alcune zone, con mezzi blindati. Erano gli anni degli attentati terroristici di Pablo Escobar, capo del violento cartello di Medellin e con il servizio di pattugliamento in alcune città (oltre alla capitale anche a Medellin, Cali, Cartagena) il Governo del tempo (presidente della Repubblica era Ernesto Samper Pizano, rimasto coinvolto in uno scandalo per aver intascato un consistente contributo di denaro dal cartello di Cali) pensava, scioccamente, di risolvere il problema e di catturare qualche boss del narcotraffico.
Qualcuno, anche in quel paese, sosteneva, come oggi in Italia, che la presenza delle “divise” era “rassicurante” e, quindi, migliorava sensibilmente la “percezione” della sicurezza in generale. A me, francamente, creava ansia vedere pattuglioni dell’esercito nelle strade e nelle piazze affollate armati di  fucili mitragliatori, spesso in tuta da “combattimento”. Ma tant’è e le cose andarono avanti per un certo periodo, almeno fino a quando non furono catturati, o uccisi in conflitti a fuoco con le forze di polizia, i capi degli storici cartelli di narcos. Le catture, poi, va ricordato, avvennero solo grazie alle “taglie” di alcuni milioni di dollari disposte dagli americani (in Colombia, ma anche in gran parte dei paesi dell’America Latina, il contributo degli USA nella lotta al narcotraffico è ancora oggi notevole e si realizza, soprattutto, con la presenza della potente agenzia della DEA). La sicurezza pubblica nelle principali città colombiane, allora, era davvero precaria, anche per un’altissima incidenza di furti e rapine nelle abitazioni e in strada (posso dirlo anche per esperienza diretta). La presenza di grosse inferriate alle finestre degli appartamenti, di robuste porte blindate agli ingressi, di sistemi di allarmi e, per chi se lo poteva permettere, la vigilanza fissa, notturna, delle dimore con guardie private armate di fucile,  era quasi la norma.
In Italia, allora, non era davvero questa la situazione della sicurezza pubblica che, purtroppo, è andata lentamente, ma progressivamente peggiorando  negli anni fino a diventare il “problema” odierno, che non si risolve certo facendo presidiare le zone di alcune città dall’esercito (nelle ultime ore, anche a Genova se ne  sollecita l’intervento per contrastare i pusher senegalesi!). Si tratta, come sempre, della solita “mossa” politica che, di tanto in tanto, viene adottata per cercare di rassicurare l’opinione pubblica che lo Stato è presente, che si è vicini alla gente. Ma, per cercare di risolvere i problemi, tanti, gravi e urgenti, della sicurezza dei cittadini sarebbe stato necessario,  anni fa, avviare un processo di arruolamento di giovani leve nei ranghi della polizia di stato e dei carabinieri e non aspettare l’invecchiamento e il pensionamento del personale; oggi si potrebbe, intanto , razionalizzare la sua distribuzione negli uffici/comandi di polizia e carabinieri sul territorio, recuperare centinaia di agenti e carabinieri da inutili servizi di scorta a “personalità” (vere o presunte che siano), dando maggiori poteri di coordinamento alle autorità tecniche di pubblica sicurezza (questori), ai dirigenti dei commissariati distaccati, rivedere le funzioni dei sindaci quali autorità di p.s. nelle situazioni i cui debbono esercitare tali ruoli. E, ancora, costruire carceri adeguate e idonee per una popolazione evidentemente cresciuta negli ultimi quindici anni (almeno un terzo degli attuali detenuti per spaccio di droghe e reati predatori e per sfruttamento della prostituzione, sono stranieri), rivedere la legislazione penal-processuale, fare in modo che si scontino realmente le pene negli istituti penitenziari e non vanificarle con misure alternative che servono a ben poco come dimostra l’esperienza quotidiana (agli arresti domiciliari, per esempio, molti continuano a delinquere). Provvedimenti di espulsione, infine, immediati, senza remore di alcun tipo e intoppi normativi, nei confronti degli stranieri che comunque delinquono. A tutto questo dovrebbe pensare seriamente il nostro Ministro dell’Interno, anziché inviare altri soldati a Milano e parlare di “opere di bene” (sic!) fatte dal Governo, nell’ultimo triennio, a favore della sicurezza.

La sicurezza pubblica in Italia vista da Alfano

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