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Democrazia competitiva o democrazia consociativa?

Luigi Lochi il . Istituzioni

costituzione-repubblica-italianaCondivido completamente le argomentazioni di Chiara Somarè. Provo a dare ad esse ulteriori sviluppi.
Per tentare di comprendere la reale portata della Riforma costituzionale, è opportuno partire da alcune domande. Innanzitutto, quale strumento ha a disposizione il cittadino per discernere i comportamenti politici? Per valutarne, tra l’altro, la trasparenza e la coerenza? E ancora, quale strumento ha il cittadino per difendersi da una grammatica politica spesso incomprensibile perché costruita con parole abusate perchè private dei loro significati autentici e dai  numerosi “tatticismi messi in campo dalla politica politicante? Pensiamo, ad esempio, alla stravagante posizione del SO: tra il SI alla Riforma costituzionale e il NO, c’è ora anche il SO.  Una scelta  ispirata più da ragioni di opportunità politica, piuttosto che da un approccio “laico”, capace cioè di dire parole chiare, prese nella loro nuda verità, senza giocare sulle ambiguità.
E’ forse la possibilità di esprimere sulla scheda elettorale la propria “preferenza” uno strumento efficace per “giudicare” e condizionare la politica? Ma non si è detto che le preferenze, da un lato favoriscono il professionismo politico  di chi può disporre di ingenti risorse finanziarie da investire nella campagna elettorale e dall’altro comportano rischi più elevati di pratiche mercantili secondo la logica dello scambio voto-favore? E poi, non si è fatto un Referendum per la eliminazione delle preferenze? Un po’ di memoria storica sarebbe utile.
La battaglia contro la disaffezione fino al disinteresse del cittadino alla politica può essere vinta riattivando la relazione, oggi spezzata, tra il cittadino e i suoi rappresentanti: una relazione che non è solo etica ma anche programmatica. Una relazione che si struttura non solo sui principi dell’onestà e della competenza (pre-condizioni dell’impegno politico), ma anche sulla attenzione concreta ai problemi della vita reale. Questa relazione tra la politica e la vita delle persone si rinnova solo riconoscendo al cittadino il potere di premiare e quello di bocciare i suoi rappresentanti nella misura della loro fedeltà  alle promesse elettorali.
Una democrazia che consente l’alternanza di maggioranze politiche diverse  al governo del Paese è quella che riconosce al cittadino il ruolo di arbitro. La cosiddetta democrazia dell’alternanza si fonda su un metodo molto semplice: una faccia, una proposta. Sconfitta la proposta, la faccia si fa da parte. Basta con quelle figure di politici validi per tutte le stagioni e per tutte le proposte e perciò candidati a tutte le cariche.
La democrazia che oggi pratichiamo è, invece,  priva di questo metodo. Essa, infatti, si sviluppa secondo il seguente processo: il cittadino delega i propri rappresentanti in base a programmi politici che altro non sono che voluminosi “libri dei sogni”, veri trattati di politologia, non molto diversi da quei Piani amministrativi che programmano lo sviluppo dei territori articolandosi in Assi, azioni, interventi, etc..etc.. I rappresentanti mediano all’interno dei propri partiti; poi mediano nell’ambito della propria coalizione. Quindi il risultato di queste mediazioni arriva in Parlamento, dove si sottopone ad ulteriori mediazioni e finanche ad un certo numero di passaggi da una Camera all’altra prima di diventare Legge della Repubblica. Alla fine di questo faticoso processo, che si sviluppa in un arco temporale certo non breve, il sistema politico produce la sua risposta al fabbisogno del cittadino. Ma sarà davvero la risposta che il cittadino si attendeva?
Alla triade: delegamediazioni (estenuanti e al ribasso)-tempi incerti, la Riforma costituzionale sostituisce la triade: mandato (su programmi elettorali definiti e chiari)-responsabilità (di tradurre le promesse elettorali in scelte legislative)-tempi certi.
A me pare che il largo fronte di coloro che si oppongono alla Riforma costituzionale, senza altro collante che l’antirenzismo, sia composto da quelle che sono state chiamate elite negative, cioè da quei politici, alcuni molto navigati, altri più neofiti, che non hanno altro scopo che la conservazione del sistema politico attuale che offre ampie garanzie di conservazione della propria posizione di potere (piccola o grande che sia). Ad esse si accompagnano le cosiddette elite culturali che si oppongono alla Riforma in quanto giudicata confusa, scritta male, prolissa, fino a considerare illegittimo lo stesso quesito referendario. Per costoro la Riforma o è perfetta o non serve, dimenticando che anche l’attuale Costituzione fu considerata imperfetta. Sarebbe opportuna una rilettura di alcuni passaggi degli “Atti” dell’Assemblea costituente e dei commenti che furono espressi all’indomani dell’approvazione della Carta del ’48: quante “paure” ( la paura del tiranno, in particolare) e quante critiche! Le prime produssero un impianto istituzionale farraginoso e ripetitivo; le seconde considerarono la Costituzione tutt’altro che “la più bella del mondo”. Per ciò che concerne la “strumentalizzazione” del testo del quesito referendario a favore delle ragioni del Si, è stato osservato (TAR del Lazio) che la legge che disciplina la materia referendaria indica il titolo della legge di Riforma della Costituzione quale testo del quesito referendario.  E’ il Parlamento, quindi, che  avrebbe dovuto votare, se solo fosse stata posta la questione, un titolo alternativo. Ed è sul quello stesso titolo, che oggi si contesta, che il Comitato nazionale per il No ha raccolto, non riuscendoci, le firme per la indizione dello stesso Referendum. Quanto poi alla tesi secondo cui la libertà di voto sarebbe violata in quanto “in un’unica domanda vengono sottoposti all’elettore una pluralità di oggetti eterogenei”, si sottolinea che “la Costituzione non impone in alcun modo il cosiddetto spacchettamento e, anzi, impone che il referendum sia sulla legge approvata; inoltre, la stessa Costituzione non impone che il legislatore costituzionale legiferi a pezzi o per capitoli; infine che una riforma è un tutto unitario e le parti sono sistematicamente collegate tra loro”(Giovanni Guzzetta).
Non c’è dubbio che viviamo un importante passaggio storico della nostra giovane Repubblica . La Riforma costituzionale, dopo trent’anni di fallimenti, finalmente apre al necessario rinnovamento del sistema istituzionale. Coloro che si oppongono ne ipotecano la conservazione per chissà quanti anni.
La responsabilità che, parafrasando Aldo Moro, che non hai mai fatto parte delle elite negative, al punto da mettere in gioco e perdere la propria vita, ci è data esercitare in questo tempo è quella di scegliere tra una democrazia fondata sulle alchimie consociative delle elite negative e una democrazia fondata sulla competizione di proposte programmatiche alternative. La responsabilità di scegliere tra l’innovazione, sempre migliorabile, che restituisce lo scettro al cittadino e la conservazione che lo mantiene saldamente nelle mani della politica autoreferenziale.

La politica rende lo scettro al cittadino

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