Riforma costituzionale: a mio modesto parere
Sono una professionista, un avvocato, appassionata di storia italiana dal risorgimento al tempo presente.
Quando è emersa la necessità di fare una scelta consapevole per la modifica della Costituzione sono andata a rivedere alcuni testi, scritti in tempi non sospetti, che fungessero da guida e sostegno della scelta stessa.
Mi sono decisa a sostenere le ragioni del sì per quanto cercherò di raccontare. Durante i lavori della Costituente, le principali forze politiche e culturali riuscirono ad operare una sintesi molto apprezzata e condivisa sui principi fondamentali in tema di diritti e doveri dei cittadini, dei rapporti etico-sociali, dei
rapporti economici e politici.
Questi principi hanno consentito alla nostra Repubblica di superare importanti prove, quali quelle della lotta al terrorismo, senza dover approvare leggi eccezionali che facessero venir meno quanto scritto dai nostri Padri Costituenti.
La sintesi non fu oggetto di una mediazione fondata sullo scambio, ma riuscì a garantire a tutti il riconoscersi, al di sopra delle legittime differenze, lo ricorda A. Barbera in I principi della Costituzione repubblicana: dal “compromesso al radicamento progressivo “non furono reciproche concessioni ma reali
convergenze fra forze politiche che partivano da posizioni inizialmente molto lontane”.
Questa è la parte che generalmente viene definita “la prima parte della Costrituzione”, che è entrata nella nostra vita attuale, con le opportune modifiche via via apportate dai differente soggetti, in primis la Corte Costituzionale, che ha adeguato ed esteso i diritti alle modificazioni intervenute nel corpo sociale.
Esiste una “seconda parte” della Costituzione, quella che regola l’ordinamento dello Stato, delinea la composizione, i poteri e le relazioni degli organi dello Stato, il Parlamento e la formazione delle leggi, il Presidente della Repubblica, il Governo, la Magistratura e gli Enti locali, gli Organi di garanzia.
Questa seconda parte della Costituzione, fin dal suo nascere, non ha visto ben regolate alcune Istituzioni, mentre il Presidente della Repubblica, la Magistratura e la Corte Costituzionale hanno retto alla prova del tempo, non così è successo per quanto riguarda il Parlamento, il Governo e gli Enti locali.
Era ben chiaro ai Costituenti che occorresse inserire nel testo della Costituzione norme tese a garantire la stabilità dei governi; un ordine del giorno votato il 4 e il 5 settembre 1946 (ordine del giorno Perassi) aveva posto questo principio, al fine di evitare la deriva parlamentare, che potremmo definire parlamentarismo”, come ha messo in evidenza A. Barbera in Fra governo parlamentare e governo assembleare: dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, laddove ricorda che con l’ordine del giorno Perassi le forze politiche “aveva(no) scelto la forma di governo parlamentare ma aveva(no) richiesto “dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo” ed evitare le “degenerazioni del parlamentarismo”, vale a dire ad evitare le forme di “assemblearismo” che avevano sfiancato le democrazie parlamentari, quella italiana e quella di altri ordinamenti europei”.
Al sopraggiungere della guerra fredda, la sfiducia tra le parti allora in campo determinò che questo ordine del giorno venisse disatteso e la modalità allora adottata per rendere impossibile ad una parte, quella avversaria, di reintrodurre la dittatura fu di regolare il Parlamento con due Camere, che svolgessero lo stesso lavoro, un Parlamento lento e ripetitivo, atto a sfiancare qualsiasi maggioranza. Quando però le Istituzioni sono deboli altri soggetti possono prendere il sopravvento ed il risultato attuale fa emergere che è stato proprio il disegno di due Camere ripetitive ad indebolire il Governo, consentendo pratiche parlamentari spesso sottoposte a fondate critiche. A. Barbera, ultima opera cit. ci ricorda che “la scelta del “bicameralismo perfetto”, inoltre, avrebbe contribuito a indebolire il governo. Mentre la forma di governo parlamentare richiede un rapporto diretto fra corpo elettorale, una camera politica, una maggioranza ed un governo”.
Ora, io credo che modificare come proposto dalla revisione costituzionale in discussione i compiti del Senato semplifichi l’Ordinamento, perché questo fatto di sé solo, riduce una parte importante del potere che i parlamentari si sono ritagliati utilizzando le regole attuali, consentendo invece alla maggioranza di poter governare secondo il programma scelto, senza dover negoziare ad oltranza ad ogni livello, negoziazione infinita che non aiuta una buona formazione delle leggi. S. Cassese in Governare gli Italiani, Storia dello Stato ci ricorda che “nel secondo (il periodo post fascista), con la eccezionale continuità di un partito, la Democrazia cristiana, che è rimasto quale asse portante dei governi … questa instabilità, però, ha prodotto continue interruzioni degli indirizzi politici. Anche quando i politici … passavano da una carica ministeriale ad un’altra o da uno ad un altro governo, la continuità dell’azione di governo si interrompeva, nonostante la continuità degli uomini”.
Io ho fiducia che gli italiani siano in grado di superare le divisioni che attualmente vengono agitate con grande fragore da un ceto politico che non ha saputo apportare nel lungo tempo trascorso le modifiche necessarie ad assicurare agli italiani un buon governo.
Ha osservato Paul Ginsborg, in L’Italia nel tempo presente, che “nel luglio 1988, Giuliano Amato, ministro socialista del Tesoro, spiegò con insolita franchezza perché, pur essendo a capo del più potente ministero italiano, potesse fare così poco “ ho la sensazione di muovermi in un arcipelago … i singoli ministeri sono molto meno partecipi della volontà collegiale del governo e molto di più di quella che si forma nel “triangolo” che ciascuno di essi compone insieme alla corrispondente commissione parlamentare e ai gruppi di interesse del settore … insomma il sistema è centrifugato, tutto si negozia, tutti negoziano con tutti, ogni passaggio procedurale è un negoziato, e ad ogni negoziato o ci si ferma o si perde un pezzo”.
Il ceto politico ha, come proprio primario interesse, la sua stessa sopravvivenza e questo interesse giocoforza si contrappone a quello dei governati/rappresentati che subiscono le conseguenze degli “errori” che i primi commettono nella gestione dello Stato – indirizzandola a loro profitto – e tutto questo ingenera confusione, confusione crescente, alla quale occorre mettere fine.
L’attuale disegno di revisione della Costituzione, poiché non ha raggiunto in Parlamento la maggioranza dei due terzi, è sottoposto a referendum, che attiene alla sola modifica dell’architettura istituzionale dello Stato, non alla sua legge elettorale, che infatti prevede un’altra modalità di formazione, con legge ordinaria e non con la complessa procedura delineata dall’art. 138 della Costituzione.
Bibliografia
Augusto Barbera, Fra governo parlamentare e governo assembleare: dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, in Quaderni Costituzionali, 2011, pag. 9 e segg.
I principi della Costituzione repubblicana: dal “compromesso” al radicamento successivo in www.forumcostituzionale.it
La democrazione “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità in www.forumcostituzionale.it
Sabino Cassese, Governare gli Italiani, Storia dello Stato, edito da Il Mulino, nel 2014;
Paul Ginsborg, L’Italia nel tempo presente, edito da Einaudi, del 1998.
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