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Rivitalizzare i ruoli intermedi della Polizia di Stato

Piero Innocenti il . Senza categoria

La Polizia di Stato è una delle istituzioni più salde del nostro paese. Così come lo è l’Arma dei Carabinieri, nata ancor prima e presente capillarmente su tutto il territorio nazionale. Sappiamo bene l’importanza che ha una stazione dei carabinieri in un paese; una presenza rassicurante per i cittadini e una deterrenza concreta per chi ha “cattive intenzioni”. Dalla Polizia di Stato, poi, promanano le autorità di pubblica sicurezza, a livello provinciale, con il questore e, a livello locale, con i dirigenti dei commissariati di polizia distaccati. I sindaci, inoltre, assumono la qualifica di autorità locale di polizia. nei Comuni in cui non ci sono i commissariati.
Un sistema nazionale della sicurezza ben articolato, che trova nel coordinamento delle forze di polizia, attribuito al prefetto e al questore, rispettivamente, sul piano politico-amministrativo e tecnico-operativo, il suo momento più importante. Tanto più negli ultimi anni, con le risorse umane dei singoli corpi che si sono sempre più assottigliate senza adeguati, tempestivi ricambi. Né la soppressione di uno di essi, il Corpo Forestale dello Stato (prevista dal decreto legislativo del 19 agosto 2016 n°177 pubblicato sulla G.U. n°213 del 12 settembre scorso), con il passaggio in itinere di gran parte del personale nell’Arma dei Carabinieri e in altri settori della pubblica amministrazione, potrà risolvere le carenze di organico per fronteggiare fenomeni criminali vecchi e nuovi e, più in generale, i problemi della sicurezza pubblica.
Ci sono, tuttavia, alcuni aspetti dell’assetto istituzionale della Polizia di Stato che, forse, potrebbero essere rivisti per restituirle slancio e vitalità. Mi riferisco, in particolare, alla esigenza di ricreare quelle condizioni di autorevolezza e di prestigio che caratterizzavano, molti anni fa, ai tempi in cui l’ordinamento del Corpo era militare, la figura dei sottufficiali ossia di quella categoria di poliziotti che oggi vengono indicati come ruoli intermedi e che rappresentano l’ossatura dell’istituzione. Oggi si chiamano sovrintendenti, ispettori, sostituti commissari, un tempo erano i brigadieri e i marescialli e, in quel lontano passato, tali figure erano circondate da profondo rispetto e credibilità. Il maresciallo comandante della sezione, nell’ambito di un Commissariato, era di riferimento (e di esempio) per tutti i poliziotti dell’ufficio e in lui faceva affidamento anche il funzionario di pubblica sicurezza che dirigeva l’ufficio.
Con la riforma dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza (1981) e la conseguente smilitarizzazione e sindacalizzazione (inizialmente si formarono due sindacati, oggi se ne contano otto) e connessa “politicizzazione”, con il passar degli anni, l’istituzione Polizia di Stato ha risentito di un certo “appiattimento” della gerarchia, con una categoria intermedia che non ha svolto più, come un tempo, quelle funzioni di collegamento, di filtro e di indirizzo essenziali in qualunque struttura. Il “corpo” aveva una “testa” (la dirigenza) e le “gambe” (il personale esecutivo”) ma era venuto meno il “tronco”. A lungo andare, nonostante una preparazione specifica, professionale e di governo del personale, in apposito, prestigioso istituto di formazione (a Nettuno) riservato ai giovani  che, per concorso pubblico, entravano nei ruoli intermedi, è prevalso, spesso, nella vita operativa quotidiana, una sorta di cameratismo confidenziale con il restante personale (talvolta anche con il livello dirigenziale) che non ha giovato  molto ad una istituzione che si poggia anche sulla gerarchia e sui doveri di subordinazione.  Intendiamoci, non voglio affatto riferirmi alla creazione di pareti divisorie, a diaframmi o a esagerati formalismi nei rapporti interpersonali, ma semplicemente al rispetto di ruoli, funzioni, professionalità fondamentali in un apparato deputato a garantire l’ordine pubblico.
Anche un “ritocco” al regolamento di disciplina, a mio parere, non sarebbe un punto da trascurare. Diversi gli episodi registrati nel tempo e culminati anche con arresti di poliziotti, ai vari livelli, per gravi reati e “definiti” dopo anni, magari con blandi procedimenti disciplinari ( anche per le pressioni sindacali esercitate nei singoli casi). Con ciò non dico di tornare al regolamento del 1891 (l’antico Corpo delle Guardie di Città”) con cui si punivano addirittura con l’espulsione  le “mancanze all’onore e al decoro” o “le gravi mancanze quando siano accompagnate da pubblicità e scandalo tali da produrre danno al servizio o offesa al prestigio del corpo”.
Però una tempestiva, esemplare sanzione disciplinare, in certi casi, quando anche l’opinione pubblica resta sconcertata, sarebbe importante e rassicurante, non solo per i cittadini ma anche per la stragrande maggioranza dei poliziotti che adempiono giornalmente le loro funzioni con senso dell’onore e della disciplina.

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