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Campobello di Mazara, il villaggio dei boss

Rino Giacalone il . Sicilia

Tre anni di sorveglianza speciale sono stati inflitti dal Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, presidente Piero Grillo, all’imprenditore palermitano Calcedonio Di Giovanni, al quale è stato anche confiscato un patrimonio da 100 milioni di euro, che comprende anche società con sede in San Marino e Londra, coinvolte in complesse operazioni finanziarie collegate a grosse transazioni commerciali internazionali.
Il provvedimento è stato notificato nei giorni scorsi dalla Dia di Trapani su ordine del Tribunale. I giudici hanno accolto la proposta di confisca avanzata dalla Dia, a firma del Direttore Nunzio Antonio Ferla, e il procedimento è stato coordinato dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Piero Grillo. Di Giovanni per decenni è stato un imprenditore assai attivo nel settore edilizio e turistico alberghiero, nel 2014 aveva subito il sequestro del patrimonio ora confiscato perché risultato contiguo allassociazione mafiosa, l’attività edilizia da lui condotta ha avuto sempre dietro le spalle il contributo di Cosa Nostra, molteplici gli interessi con le cosche come con quella di Mazara del Vallo capeggiata dai famigerati Agate, ma non di meno rilevanti i rapporti con il noto faccendiere Vito Roberto Palazzolo, figura di spicco di Cosa nostra palermitana.
Rapporti che Calcedonio Di Giovanni ha in particolare stretto all’epoca della costruzione di un villaggio turistico “Kartibubbo”, sul litorale di Campobello di Mazara. Un villaggio dove mafiosi sono risultati proprietari di unità immobiliari, villette, e dove mafiosi latitanti hanno trascorso latitanze dorate in riva al mare. Un villaggio costruito con i soldi della mafia, 5 miliardi di vecchie lire, ma non solo: lì dentro una volta costruito hanno trascorso la latitanza, al mare, tutti i big di Cosa nostra, da Riina a Provenzano, sino a  Ciccio e Matteo Messina Denaro, padre e figlio, quest’ultimo super capo di Cosa nostra trapanese ricercato dal 1993. Da ultimo poi Di Giovanni ha ottenuto finanziamenti pubblici nazionali e comunitari coinvolgendo nei propri progetti anche interessi della mafia di Castelvetrano, capeggiata dai Messina Denaro.
Sul suo conto anche le accuse di  lottizzazioni abusive, truffe, furti, omissioni contributive per oltre 60 milioni di euro, a tanto ammonta il suo debito col fisco italiano, fatturazioni per operazioni inesistenti e bancarotta.

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