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Salento: la Dia di Lecce confisca 150mila euro di beni

Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

La Direzione Investigativa Antimafia di Lecce confisca i beni di Pietro Tondo, quarantacinquenne pluripregiudicato, nato in Germania e residente a Manduria. Il decreto di sequestro e contestuale confisca è stato emesso dalla Seconda Sezione Penale del Tribunale di Taranto, riunitasi alla presenza del Pubblico Ministero della DDA di Lecce Alessio Coccioli, su proposta del Direttore della DIA.
Il patrimonio confiscato ammonta a 150.000 euro ed è composto da tre fabbricati, tre terreni (tutti situati nel comune di Manduria), un’autovettura e cinque saldi attivi di rapporti bancari e postali.
Pietro Tondo, attualmente detenuto, è già stato condannato per associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, furto in concorso, detenzione illegale di armi e munizioni.
Gli inquirenti ritengono che Tondo faccia parte della costola manduriana della Sacra Corona Unita, promossa e organizzata da Vincenzo Stranieri, “finalizzata al controllo delle attività pubbliche e private nonché del territorio mediante il ricorso al metodo estorsivo e l’uso di armi ed esplosivi al fine di realizzare una condizione di diffuso assoggettamento funzionale al conseguimento di utilità economiche”, come si legge nell’ordinanza. Per questi fatti, collocati in un periodo che si spinge sino al primo semestre del 2010, Pietro Tondo è stato condannato dal GUP di Lecce con sentenza del 23 aprile 2013,  in attesa che si esprima definitivamente la Corte di Cassazione.
È importante sottolineare che il pluripregiudicato sia stato dichiarato socialmente pericoloso e sottoposto dal Tribunale di Taranto a sorveglianza speciale per tre anni con i decreti del 2 marzo 2001 e del 28 febbraio 2012.
L’analisi dei flussi patrimoniali e finanziari che hanno interessato il nucleo familiare del Tondo (comprendente la moglie Antonia Piccinni e la figlia Loredana Tondo) tra il 1995 e il 2013 hanno evidenziato una forte sproporzione tra entrate e uscite. I redditi dichiarati dalla famiglia Tondo non sono sufficienti neppure al minimo sostentamento, basti pensare che tra il 1995 e il 1998 l’uomo dichiara circa 18.000 euro. Nonostante i modesti introiti, la famiglia Tondo riesce ad acquisire e costruire immobili e ad operare compravendite di autoveicoli, il tutto per un valore di oltre 150.000 euro.
Gli avvocati difensori della famiglia Tondo, avvalendosi di testimoni e consulenze, hanno adottato una strategia difensiva che mirava, da un lato, a retrodatare l’acquisto del terreno e la costruzione del villino di proprietà dei coniugi Tondo, dall’altro a giustificare gli investimenti del nucleo familiare esibendo una documentazione allo scopo di comprovare redditi mai dichiarati ma comunque percepiti. Questa strategia ha prodotto risultati parziali. L’Autorità Giudiziaria, infatti, ha accolto le istanze difensive in merito all’arco temporale compreso tra il 1989 e il 1990 entro il quale sarebbe stato acquistato il terreno e costruito il villino. Quindi, al di fuori del periodo in cui sono stati esaminati i flussi finanziari, ovvero tra il 1995 e il 2013. Questo in contrapposizione alla richiesta del PM che collocava questi fatti tra il 1991 e il 1998.
Per quanto riguarda la documentazione esibita per dimostrare introiti mai dichiarati, così come gli eventuali aiuti economici forniti dai suoceri di Pietro Tondo, i Giudici hanno affermato che si tratta di “un apporto davvero insufficiente e poco significativo, incapace di offrire una lettura diversa dell’intero complesso delle acquisizioni patrimoniali ricadenti nella predetta perimetrazione temporale di pericolosità”.
Non solo. I Magistrati, in risposta agli avvocati che sostengono che i guadagni pur non dichiarati derivino dalla vendita di legna da ardere, attività esercitata dal nucleo familiare, affermano perentoriamente che “le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’indiziato di appartenenza a sodalizi di tipo mafioso tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, è certo legittimo il provvedimento di confisca di beni del proposto che ne giustifichi il possesso dichiarando appunto di averli acquistati con i proventi del reato di evasione fiscale”.
Concludendo, ad eccezione del villino e del terreno circostante, “le predette misure patrimoniali vanno disposte con riguardo a tutti gli altri beni immobili, delle auto e dei rapporti finanziari, ad onta, per questi ultimi, del modestissimo saldo rinvenutovi, ricadendone in ogni caso la negoziazione nel periodo temporale di riferimento, non potendo che ravvisarsi, in ragione dei predetti dati di fatto provati dalla Procura, la incoerente ed ingiustificata – se non con il ricorso a fonti di ricchezza illecitamente prodotte – sproporzione tra il valore dei dati reddituali percepiti dai suddetti soggetti negli anni relativi alle via via accertate acquisizioni patrimoniali e l’ammontare degli esborsi effettuati per quegli investimenti, cui va evidentemente sommato come posta negativa il carico finanziario sopportato per far fronte alle esigenze di vita del nucleo familiare”, scrivono i Giudici della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Taranto.

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