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Nel nome di Lea, secondo cammino

Valerio D’Ippolito e Valentino Marchiori il . Brevi, Senza categoria

Quando nel 2014 decidemmo di collegare a piedi il luogo dove i suoi assassini avevano fatto scomparire, nel 2009, il corpo ormai privo di vita di Lea Garofalo con il luogo dove Lea era nata 35 anni prima, ci eravamo dati una “missione da compiere”: andare dalla morte alla vita affinché la sua memoria si trasformasse in vita attraverso il racconto della sua storia. Tra le altre, ci aveva anche molto colpito la notizia apparsa sui giornali il giorno del suo funerale , il 19 ottobre 2013, secondo la quale il pullman che sarebbe dovuto partire da Petilia Policastro per Milano, non parti perché non c’erano passeggeri.
Quando dopo 1580 Km siamo entrati a Pagliarelle prima e a Petilia (comune capoluogo) dopo, e abbiamo visto un nutrito gruppo di persone ad accoglierci ci siamo detti “l’abbiamo riportata a casa” e ci piace pensare ancora oggi che tra quelle persone ci fosse anche qualcuno/a (compagno/a di scuola, di giochi o altro) che era presente anche come forma di “rimedio” alla mancata presenza ai suoi funerali.
Insomma eravamo soddisfatti perché avevamo compiuto la missione.
Col passare del tempo però abbiamo maturato la convinzione che quel precedente cammino andava proseguito, perché la scelta di Lea costituisce ancora un formidabile esempio di coraggio e responsabilità civile al quale tante donne che si trovano nelle condizioni simili alle sue, potrebbero, per amore verso i propri figli o altre ragioni, guardare. Nel contesto della famiglia mafiosa la scelta della donna può essere decisiva per interrompere il meccanismo di trasmissione ereditaria (sia se il capofamiglia è vivo sia se è morto) del potere mafioso da padre in figlio.
È sulla base di questa convinzione dunque che abbiamo deciso di intraprendere un secondo cammino di testimonianza, che partendo da Lea (siamo infatti partiti dal suo monumento a Petilia dove si era concluso quello precedente) abbracciasse tutta la Calabria in un itinerario circolare sulle due coste e si concludesse nella partecipazione alla marcia annuale dei “sentieri della memoria” che Libera organizza il 22 di Luglio a Pietra Cappa sull’Aspromonte per ricordare Lollò Cartisano e con lui tutte (troppe!) le vittime innocenti della mafia calabrese.
A differenza del primo cammino, dunque, che aveva una precisa missione da compiere, questo secondo c ha avuto un punto di partenza certo, che è Lea Garofalo, ma poi ha avuto uno sviluppo cosi bello e variegato: negli incontri che abbiamo avuto, negli spunti e stimoli che ne abbiamo tratto;  che possiamo dire, a poche settimane dalla conclusione, che potrebbe essere solo l’inizio, una prima tappa, di un cammino molto più lungo di “ pellegrinaggi  per la memoria” sulla Calabria. Siamo passati dalla “missione da compiere” alla “missione da costruire” per la Calabria, per la cui costruzione speriamo sono ben accetti contributi da chiunque lo vorrà, sia per la fase di  progettazione che nella partecipazione al cammino stesso. La condivisione nel cammino con altre persone è stato uno dei momenti più belli in entrambe le esperienze.
Ma veniamo allo specifica esperienza di questo secondo cammino da Petilia Policastro a Pietra Cappa per un totale di 500 km. Il nostro viaggio è iniziato con una accoglienza per noi un po’ speciale : Giovanni e Francesca, i genitori del piccolo Dodò Gabriele ucciso su un campetto di calcio nei pressi di Crotone nel 2007. Li avevamo conosciuti il giorno prima in occasione del torneo di calcetto tra squadre di ragazzi organizzato ogni anno il 25 giugno in memoria di Dodò. Ma entrare nella loro casa  è stata davvero un’emozione forte, sentirli parlare di Dodò sempre al presente, sentirsi raccontare il percorso che hanno fatto per elaborare il loro dolore con Libera insieme ai familiari delle vittime innocenti di mafia, è una vera e propria lezione di vita, noi quella sera è come se avessimo incontrato e conosciuto Dodò. E’ di straordinario valore simbolico ed educativo la scelta di Giovanni e Francesca di voler celebrare il prossimo 17 ottobre a Crotone con una iniziativa pubblica i 18 anni di Dodò insieme ai suoi compagni di scuola e di gioco. A noi ci sembra talmente bella che speriamo ci sia tanta gente sia dal Crotonese che dalla Calabria il prossimo 17 Ottobre.
Nei 500 km percorsi abbiamo potuto toccare con mano quanto forte ed efficace sia la capacità di Libera di fare rete. Grazie a questa rete infatti non abbiamo avuto nessun problema nella prenotazione delle strutture dove alloggiare. Ma soprattutto abbiamo potuto incontrare realtà associative e giovani molto motivati nel puntare sulla propria terra, nel volere tenacemente perseguire l’obiettivo di costruirsi lì il proprio futuro. Sono realtà che operano sia nei beni confiscati: i giovani delle aziende di Libera terra “Terre Joniche” e “Valle del Marro”,  quelli impegnati a riconvertire a Reggio Calabria un enorme salone di 520 mq da ex sala giochi (d’azzardo e di chissà cos’altro), in un centro di aggregazione sociale e di incontro per i giovani, le donne impegnate nella “Sartoria Sociale” sempre a Reggio, per fare alcuni esempi. Ma anche realtà associative di tipo imprenditoriale nel campo del turismo in grado di sfruttare una peculiarità della calabria: quello di avere nello spazio di pochi chilometri sia il mare che l’alta montagna, pensiamo alla realtà di S. Lucido, ma anche agli amici di Misafùmera di Reggio.
Le stesse strutture che ci hanno alloggiato: B&B, Agriturismi, Alberghi ecce cc erano l’espressione di una interessante volontà associativa nuova che in Calabria ha sempre fatto molta fatica ad affermarsi, e la frase che ci siamo sentiti ripetere spesso è “in Calabria la realtà sta cambiando, perché c’è una nuova sensibilità, nei giovani,  ad associarsi.
In cuor nostro lo vogliamo sperare e faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per aiutare questi processi aggregativi, anche se poi le notizie che ci hanno accompagnato durante il cammino e che leggevamo sulle locandine nelle edicole erano di quelle che non vorremmo più vedere: “scoperta la mammasantissima della ‘ndrangheta” nuove inchieste che vedevano coinvolti parlamentari nazionali e regionali (mentre scriviamo il senato ha dato l’autorizzazione all’arresto per uno di questi).
Ma nel nostro cammino, è come se avessimo dopo alcuni giorni “affinato” l’occhio per leggere il paese o il quartiere della città che stavamo attraversando. Quando attraversavamo un centro abitato dove non esistono marciapiedi, sono assenti le strisce continue che delimitano i bordi della carreggiata, non esistono attraversamenti pedonali, i mucchi di spazzatura abbondano, e la gran parte delle case non sono finite, state tranquilli che li la densità mafiosa è abbastanza alta, e le attività di contrasto, almeno quelle della società, piuttosto assenti. Infatti nei colloqui con gli amici che ci accoglievano questo dato puntualmente veniva fuori. C’è un esempio specifico che vi vorremmo raccontare. Arrivando da nord a Rosarno nel lungo rettilineo di ingresso al paese, due enormi mucchi di spazzatura distanziati da alcune centinaia di metri, e poco più avanti entrando nel paese le caratteristiche sopra descritte c’erano tutte. Ci è venuto in mente che Rosarno, una cittadina di 15 mila abitanti ha 250 affiliati alle cosche: uno ogni 60 abitanti. Conclusa la tappa a dormire siamo andati a Polistena dove i nostri amici di Libera ci avevano prenotato un B&B e Giuseppe ci è venuto a prendere. Vedendo Polistena sembrava di essere in un’altra Calabria. Anche a Polistena naturalmente la ‘ndrangheta c’è, ma c’è anche nella società e nelle istituzioni chi ad essa si oppone, e la differenza la fa proprio questo dato, la presenza dell’antimafia e della bella realtà di Libera guidata da Don Pino Demasi, di cui Giuseppe ci ha parlato a cominciare dal più grande palazzo di Polistena confiscato alla cosca Longo-Versace e che oggi è un centro polifunzionale dedicato a Don Pino Puglisi.
Ma lo stesso paragone si potrebbe fare con il tratto di strada che da Villa S. Giovanni porta a Reggio dove attraversando Catona, Gallico, Archi dove camminare è più rischioso delle due statali litoranee che sono disseminate di croci ed immagini di persone morte.
Ma vorremmo concludere questo breve racconto raccontando di altre tre emozionantissime esperienze che raccontiamo in ordine temporale ai loro accadimenti. Nel tratto di cammino nella zona Arberesche  della Calabria tra Lungro e S. Sosti abbiamo avuto modo di scambiare qualche informazione con l’attuale vice sindaco di Acquaformosa Giovanni Manoccio, già sindaco nelle due precedenti legislature. Dopo averci illustrato le modalità dell’accoglienza dei migranti (un paesino di 1100 anime che negli ultimi 5 anni ha gestito l’accoglienza di più di 600 persone e attualmente ne hanno in gestione una settantina), prima di salutarci, il vice sindaco  ci ha informato che da li a poco tempo sarebbe nato il primo cittadino a tutti gli effetti acquaformositano di pelle nera e che nel paese per accoglierlo stavano preparando una festa, e ci motivò nel seguente modo questo straordinario spirito civico “ ci fu un tempo in cui noi in Calabria fummo accolti, oggi abbiamo il dovere della restituzione”. Se pensiamo che in Calabria la stessa esperienza si sta facendo anche in altri paesi di origini non albanesi, la domanda viene spontanea: ma quanta distanza c’è tra questa Calabria e certi discorsi che sentiamo dalle nostre parti?
La seconda esperienza a Palizzi, dove siamo stati ospitati da Totò e Anna Fava genitori di Celestino Fava, la cui storia semplice e drammatica e quella di avere risposto di si  ad una richiesta di aiuto di un suo coetaneo che conosceva per caricare della legna. Si è trovato coinvolto all’improvviso in un affare di droga ed è stato ucciso. Anche così si può morire di mafia in Calabria. Totò e Anna ci hanno accolto nella loro casa come se fossimo due familiari, un calore e una dolcezza che non dimenticheremo, e quando il giorno successivo gli abbiamo chiesto se potevamo portare un fiore a Celestino ci hanno accompagnato e dopo una breve sosta di raccoglimento davanti ad una bellissima foto del ragazzo ci hanno fatto vedete anche la tomba di “quell’altro ragazzo”, cosi ce lo hanno indicato. Anche Totò e Anna ci parlano di giustizia che non hanno ancora avuto e mai di vendetta. E’ questa una costante, e un valore, di tutti i familiari delle vittime innocenti di mafia che con Libera scelgono di testimoniare il loro dolore chiedendo sempre giustizia, perché è anche un modo di combattere un germe malato e diffuso che trasforma il dolore in una sequenza senza fine che dal rancore va alla vendetta che a sua volta porta alla faida. Lo abbiamo sentito gridare questo valore nella marcia in Aspromonte.
È la seconda volta che partecipiamo al cammino “I sentieri della memoria”  in Aspromonte, la prima fu in occasione del cammino del 2014. La volta scorsa lo incrociammo casualmente, questa volta abbiamo volutamente scelto di concludere questo secondo cammino prendendovi parte. Il cammino che si compie lungo un sentiero aspro e bello abbraccia in qualche modo la causa di tutte le vittime innocenti di mafia, e i racconti cui si assiste durante le brevi soste che punteggiano il cammino fa scoprire sempre aspetti di vicende che si pensava di conoscere, e che invece aggiungono nuovi elementi che ti costringono a riflettere ulteriormente. Un esempio che riguarda proprio Celestino Fava. Don Tonio dell’Olio ci ha raccontato che parlando qualche tempo fa con il magistrato che gesti le prime indagini sulla sua uccisione questo gli ha “confessato” che le indagini furono dirette a scavare nella vita di celestino, perché se era stato ucciso qualche cosa doveva avere fatto. E nelle indagini è noto che più tardi si arriva ad imboccare la strada giusta  più difficile è trovare le prove. E su Celestino Fava a distanza di 20 anni giustizia non è fatta.
Infine i ringraziamenti: un solo grande GRAZIE a Libera e a tutti i presidi coordinamenti delle persone singole o associate in altre realtà associative, ma che hanno agito in rete con Libera rendendosi disponibili ad aiutarci in questo nostro desiderio del camminare per testimoniare. Un grazie anche ai tre comandi dei carabinieri di Petilia, Roccabernarda, Rocca di Neto che ci hanno accompagnato e dato preziosi suggerimenti sul percorso della prima tappa Petilia Crotone. E ancora un ringraziamento a tutte le persone che hanno voluto camminare con noi in alcune tappe, perché “camminare insieme” è il più bel momento di condivisione dello scopo del nostro pellegrinaggio di memoria.

In viaggio per Lea Garofalo. Il racconto di una esperienza di memoria e impegno

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