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Migrazioni:una narrazione pubblica spesso falsata

Piero Innocenti il . L'analisi

A tutti quei politici, di varia estrazione, che hanno ancora le idee confuse (o non le hanno affatto) sull’immigrazione e che spesso ne parlano senza adeguata conoscenza, suggerisco, per l’estate, la lettura dell’interessante saggio tascabile “Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” (ed.Laterza, 2016) di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna, entrambi professori universitari a Padova. Il suggerimento è esteso anche a tutti coloro che vogliono avere coordinate e informazioni reali ( e risposte) su di un tema così scottante come quello dell’immigrazione che ha, indubbiamente, prodotto un certo “spaesamento” in diversi paesi, incluso il nostro.
Gli autori non raccontano solo storie o citano numeri (reali) ma indicano “errori, omissioni e buone pratiche e (…) anche qualche ricetta, nell’auspicio che la torta migratoria riesca ben amalgamata e facilmente digeribile per i vecchi come per i nuovi italiani”. Viene, intanto, sottolineato come non sia affatto vero che “..gli stranieri rubano il lavoro agli italiani..” in un mercato che appare segmentato in tre settori (normativo, territoriale e generazionale) che “..si intersecano tra di loro, creando forti squilibri spesso colmati o almeno attenuati dall’arrivo di lavoratori stranieri”. Un mercato del lavoro in cui gli immigrati sono complementari piuttosto che concorrenti con gli italiani, perché vanno a disimpegnare quelli che i “nostri” di soliti evitano, i cosiddetti “ddd jobs” (dirty, dangerous, demeaning) cioè i lavori “sporchi, pericolosi, umilianti”. Una integrazione-inclusione-contaminazione-interrelazione passa necessariamente attraverso la scuola che, sostengono gli autori, è “..l’istituzione che ha fatto di più e meglio per fornire percorsi di integrazione..” anche se, aggiungono, “..integra poco o male i figli dei poveri (..)perché è inserita in una società immobile..”. La convinzione è, tuttavia, che l’integrazione “sui banchi della scuola”, può portare effetti benefici a tutta la società, a partire dal riconoscimento dello jus scholae – superando, quindi, lo jus sanguinis e lo jus soli (temprato) – quale strumento per far acquisire la cittadinanza ad uno straniero che voglia vivere da noi dopo il compimento di un ciclo scolastico che consenta la conoscenza della nostra Costituzione e dei diritti e doveri che sono alla base della nostra società.
Interessanti anche le considerazioni fatte nel capitolo “Tutti delinquenti?”. Sulla scorta dei dati statistici sulla delittuosità e sulle presenze in carcere, ad un primo esame, gli stranieri commettono più delitti degli autoctoni, anche se, una buona percentuale, il 17%, riguarda violazioni alla legge sull’immigrazione (reati legati ad una condizione della persona e non a un atto compiuto). La devianza “non è tanto la condizione di straniero, ma quella di marginale e, per dirla con categorie classiche dell’indagine sociale, la povertà materiale, di risorse sociali e di capitale culturale..”. Senza contare che, ne parlo anche sulla scorta di esperienze personali, non c’è dubbio che – è l’ulteriore condivisibile riflessione degli autori – “gli stranieri sono maggiormente presenti anche perché più frequentemente oggetto di controlli, perquisizioni, operazioni mirate”. Ma si dimenticano presto anche gli “affari” che si fanno sulla pelle degli immigrati (Mafia Capitale docet), mentre sarebbe interessante approfondire quanti reati vengono commessi in danno di immigrati. Con un linguaggio semplice, nel prezioso saggio, si parla di schiavitù e di sfruttamento sessuale, dei pochi rifugiati in Europa e in Italia (se rapportati a quanti accolti nei paesi confinanti con quello della loro provenienza: per esempio in Libano, Giordania, Ciad, Mauritania o Malta), di culture e religioni che si incontrano, di strumentalizzazione mediatica e politica che ha contribuito a “..creare più paura, più rifiuti, più incertezza, più chiusura”. Tutto questo, riconoscono gli autori, può portare a crisi e conflitti che non necessariamente sfociano in violenza. La sfida, allora, è “..trovare i metodi (tra cui vanno incluse le istituzioni) per risolverli, i conflitti, e questi possono essere non violenti o, comunque (..) giusti”. Ma la “sfida” è, ancora prima, quella di combattere chi non ha interesse a far risolvere i conflitti ma, anzi, vuole farli nascere e farli durare più a lungo possibile. Sono quelle persone e quei  movimenti politici che, nel saggio, vengono indicati come “i radicali delle varie sponde”. Questi sì pericolosi per la società, a ben vedere.

Migrazioni: alcuni (amari) “spunti di riflessione”

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