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Un “permesso” per la jihad

Fabrizio Feo il . Campania

“Sarò dell’Isis finché avrò vita” diceva il tunisino Mohamed Khemiri: è il gennaio 2015 quando i Carabinieri del Ros intercettano una sua conversazione. L’uomo, precedenti per spaccio di stupefacenti, afferma senza esitazioni il proprio credo ed è pronto, secondo gli investigatori, a colpire obbiettivi in Italia. Khemiri vive dalle parti di Caserta, a San Marcellino d’ Aversa, dove lavora per l’imam della moschea locale che, dicono i carabinieri, era ignaro di quello che Mohamed combinava. Secondo gli investigatori il tunisino aveva creato un’organizzazione criminale che riusciva ad ottenere da aziende tessili compiacenti il rilascio di contratti di lavoro e buste paga fittizie. Documenti che servivano a garantire, in cambio di danaro, permessi di soggiorno per immigrati quasi tutti di origine maghrebina. Così si incrociano le indagini della Procura della Repubblica di Napoli, che si occupa di Mohamed Khemiri per le sue attività filo-terroristiche, e quelle della Procura di Santa Maria Capua Vetere, che invece seguiva il giro dei contratti fasulli e dei permessi.
Nel corso dell’attività di indagine gli investigatori scoprono che il tunisino aveva aperto un gran numero di profili su vari social network per moltiplicare l’opportunità di ottenere contatti in rete ma anche per sfuggire ad eventuali controlli. Il Ros ha seguito Khemiri per oltre un anno pedinandolo, intercettando le sue conversazioni, riprendendolo durante i suoi incontri, monitorando la sua attività di proselitismo pro-Isis tra i migranti, di propaganda via web e registrando il suo entusiasmo in occasione degli attentati di Parigi alle notizie dell’assalto a Charlie Hebdo e al supermercato kosher che al telefono, o su Facebook e Twitter, gioiva alla notizia dell’uccisione di israeliani. Ma, scrive la Procura di Napoli, Khemiri non si fermava a questo: incitava infatti “alla commissione di azioni armate attraverso l’esaltazione di atti terroristici, l’enfatizzazione di scritti coranici strumentalmente distorti al fine di legittimare le stesse azioni”. E soprattutto avrebbe indotto “alla radicalizzazione religiosa alcuni immigrati di fede musulmana”.
Nonostante queste accuse, per due volte il pm di Napoli Luigi Cannavale del pool antiterrorismo si è visto respingere la richiesta di arresto dal gip. Arresto chiesto e ottenuto invece dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per Khemiri e altri sui complici con l’accusa di associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso documentale. In occasione dell’arresto di Khemiri magistrati e investigatori hanno evitato di rispondere a domande sul ruolo di militanti o simpatizzanti dell’Isis nella gestione del traffico di migranti o in fasi successive, cioè quando – come emerge dal caso di Khemiri – si tratta di creare false attestazioni per ottenere documenti di soggiorno rilasciati dalle autorità o la produzione di permessi falsi o sull’intervento in fasi successive. Attività che sono affidate a vere e proprie reti di “professionisti”. Come testimonia la vicenda di Djamal Eddine Ouali, l’algerino arrestato nel marzo scorso a Bellizzi, non distante da Salerno, accusato dalla polizia belga di far parte della rete di stampatori di documenti falsi che aveva fornito passaporti a terroristi degli attentati di Bruxelles e di Parigi. Ora è evidente che si può alzare il livello di attenzione e di allerta quanto si vuole, battendo strade e i quartieri, punti di ritrovo e stazioni, palmo a palmo: ma se poi i terroristi girano con documenti falsi, così ben fatti che anche occhi esperti li scambiano per autentici, o peggio contano su coperture e connivenze che consentono di ottenere documenti autentici con attestazioni false, tutto rischia di diventare più difficile. E qui entra in gioco il rapporto tra terroristi o fiancheggiatori dei jihadisti e organizzazioni criminali , come la camorra o con aree “grigie” , nel mondo delle imprese, della burocrazia, disposte a tutto pur di fare soldi o in cambio di altre utilità.
Mohamed Khemiri e Djamal Eddine Ouali non sono certo i primi maghrebini individuati in Campania finiti nelle indagini sulla rete che sostiene le cellule del terrorismo di matrice islamista dell’Isis: una rete che finanzia, che fornisce documenti falsi, gestisce stamperie che hanno fabbricato migliaia e migliaia di passaporti e patenti, carte d’identità e ancora permessi di soggiorno e perfino certificati di proprietà di auto. Documenti da vendere al miglior offerente con precedenza ai connazionali impegnati nella Jihad . Basti pensare ai traffici scoperti tra Napoli e Salerno fin dal 1995, quando si trattava di sostenere gruppi del terrorismo algerino che sarebbero poi confluiti in al Qaeda. Inchieste e arresti si sono susseguiti in Campania a ritmo costante tra il 2004 e il 2006 e poi tra il 2012 oggi. E gli investigatori hanno scoperto che anche i traffici di droga sarebbero serviti come merce di scambio per procurare esplosivo in preparazione di attentati.
Del resto la camorra non guarda il colore dei soldi e certo non teme di fare affari con altri assassini.

 

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