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Depistaggio. Un lungo percorso fino alla fine dell’impunità

Paolo Bolognesi il . Istituzioni

Quando i vertici del Sismi, l’allora servizio segreto militare e il capo della Loggia P2, nel 1995, vennero condannati definitivamente per avere depistato le indagini sulla strage di Bologna, il reato penale contestato fu quello della semplice calunnia. Lo Stato  perseguì così Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte, Francesco Pazienza, Licio Gelli, coloro  che si attivarono per coprire i terroristi neofascisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini che piazzarono 23 chili di tritolo alla stazione, il 2 agosto 1980, causando 85 morti e 200 feriti. Una condotta minore che non contemplava la vastità e la gravità dell’azione depistatoria compiuta dai quattro imputati, come le false informative che costruivano fantomatiche piste internazionali culminate nell’operazione “terrore sui treni”, documenti omessi, esplosivi falsamente piazzati, elementi di prova nascosti.
Una serie di semplici calunniatori ha costellato la storia dei processi per strage dal 1947 al 1993, molte delle quali ancora oggi irrisolte, dove ai familiari delle vittime, ai feriti, è stato negato il diritto alla giustizia e alla verità proprio da quei depistaggi che coprivano mandanti ed esecutori.  Una sistematica azione depistatoria, quella compiuta dagli apparati, dispiegata agli omicidi politici e mafiosi con le “manine” del potere pronte a svuotare casseforti, far sparire documenti, agende, ripulire le memorie dei computer, simulare massacri addebitandoli a false piste gay, come nel caso di Pier Paolo Pasolini. Azioni criminali a tutela di patti, ricatti, carriere e disegni. Ma è per il banale reato di furto che si è indagato sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992, insieme ai cinque agenti della scorta, su cui il magistrato annotava nomi, collegamenti, note riservate di quei ventisei giorni trascorsi dopo la strage di Capaci, con la consapevolezza di essere il possibile prossimo bersaglio. Un furto per ricettatori eccellenti. Ed è per il reato di semplice danneggiamento informatico che si è investigato sulla cancellazione delle memorie dei computer di Giovanni Falcone, avvenuta nel suo ufficio al ministero di Grazia e Giustizia e nelle sue abitazioni subito dopo la sua morte, i cui contenuti avrebbero, forse, smascherato uno dei tanti volti vergognosi della Storia.
Nel Paese dei depistaggi, non avevamo uno specifico reato che li perseguisse. Una norma che, come Associazione, abbiamo chiesto di introdurre fin dal 1993. Ed oggi abbiamo raggiunto l’obiettivo.  Nonostante il percorso difficile e tortuoso della proposta di legge che ho presentato come primo firmatario nel 2013, e grazie al voto quasi unanime del Parlamento che ha scelto di cancellare questa ignobile impunità e di compiere u na svolta storica, dal 2 agosto prossimo la magistratura potrà applicare la legge n. 133 dell’11 luglio 2016 che persegue i depistatori con pene fino a dodici anni di carcere.
Entra   in vigore nel giorno del 36° anniversario della strage di Bologna. Una casuale concomitanza di date che riporta alla memoria di quel 2 agosto 1993, dove dal palco della stazione di Bologna, Torquato Secci – uomo di straordinaria tenacia con il quale il 1° giugno 1981 ho fondato la nostra associazione  – chiese la sua approvazione.  Non avrà valore retroattivo, ma se sugli eccidi e gli omicidi fino ad oggi irrisolti, si aprono nuove indagini, come per quelle in corso,  applicandola potremo arrivare finalmente alla verità.   E’ il risultato di un lungo percorso che abbiamo compiuto senza mai arrenderci. Una partita vinta della democrazia che dedico a tutti i familiari delle vittime, alla società civile che ci ha sempre sostenuto, agli eroi silenziosi della nostra Storia e ai cittadini di domani che potranno così tutelare il proprio diritto alla giustizia.

 

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