Casi Alpi-Hrovatin: la ricerca della verità continua
Potrebbe decidersi in una sola udienza, quella del 19 ottobre prossimo, il destino di Hashi Omar Hassan, condannato a 26 anni di reclusione di cui 16 scontati, unico accusato per l’omicidio dell’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuto a Mogadisco il 20 marzo del 1994. Il 19 ottobre è il giorno fissato dalla Corte d’Appello di Perugia per la discussione e probabilmente anche per la decisione sul processo di revisione, richiesto da Hashi affinché dopo anni di carcere venga riconosciuta la sua estraneità al delitto. Estraneità che del resto emerge dai nuovi verbali di interrogatorio di Ahmed Ali Rage, detto Jelle, somalo anche lui, che aveva accusato Hashi e aveva contribuito, in modo decisivo, a determinarne la condanna. Verbali, un racconto, che non potrà rimanere senza conseguenze, e non solo per la posizione processuale di Hashi.
Jelle -interrogato in Inghilterra per rogatoria dalla Procura di Roma- ha nuovamente e definitivamente smentito la sua prima testimonianza, confermando quanto aveva detto già anni fa ad un giornalista somalo della Bbc. Affermazioni lasciate nel dimenticatoio fino all’intervista di Chiara Cazzaniga della trasmissione Chi l’ha visto? di Rai 3. Jelle ha ricostruito i fatti, il modo in cui è stata raccolta la sua prima testimonianza, fornendo particolari che aggiungono elementi decisivi per la tesi dell’estraneità di Hashi Omar Hassan all’agguato. Ha spiegato che quando Ilaria e Miran vennero uccisi, lui non era presente. Ha detto di essere corso a vedere cosa fosse successo dopo aver sentito che erano stati uccisi dei giornalisti e di essere arrivato solo dopo l’agguato, quando ormai la gente se n’era andata. Negli atti non coperti da omissis, trasmessi dalla Procura di Roma alla Corte d’appello di Perugia, Jelle sostiene addirittura di non aver detto che Hashi era del commando e nemmeno che era stato lui ad uccidere Ilaria e Miran. Una marcia indietro in piena regola, che d’altra parte Jelle aveva cominciato praticamente già parecchi anni fa.
Come e da chi è stato costruito allora il colpevole di comodo? Avere un capro espiatorio non è servito forse a sostenere che Ilaria e Miran sono “morti per caso”? E ad impedire di indagare su moventi dell’omicidio assai seri: da quello del traffico di rifiuti – che qualcuno ha definito frettolosamente “una balla”- al traffico di armi, che un’invenzione non era, o alla “mala-cooperazione. Se -come è lecito pensare che accada- verrà riconosciuta l’innocenza di Hashi Omar Hassan, non resterà aperto solo l’interrogativo su chi abbia ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e per ordine di chi sia stato compiuto il delitto. Si dovrà prendere atto che, come è stato detto per anni da più parti e dagli stessi genitori di Ilaria, è stata compiuta una azione di depistaggio clamorosa, per allontanare la verità sul delitto. A questo punto non è più un sospetto, una tesi di pochi, ma un dato consacrato in atti processuali. Oltretutto al processo di Perugia sono stati ascoltati testimoni che hanno contraddetto precedenti dichiarazioni proprie, o quelle rese da altri davanti alla magistratura della Capitale o alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Mogadiscio. Contraddizioni, versioni macroscopicamente lacunose o diverse che forniscono nuovi spunti di ricerca della verità.
D’ora in poi non ci saranno scuse per chi ha chiesto verità e giustizia per Ilaria e Miran solo a fasi alterne, con lunghe amnesie, per chi addirittura è rimasto in silenzio o aveva il dovere morale di fare qualcosa e non lo ha fatto. E’ necessario ribadire ancora una volta che all’azione della Procura di Roma deve sommarsi l’attenzione della pubblica opinione e soprattutto l’impegno dei media: non soltanto gruppi di giornalisti, ma una categoria intera, finalmente consapevole che la battaglia per difendere il diritto/dovere di informare comincia dalla richiesta della verità su vicende come quella di Ilaria e Miran. Lo ha ricordato il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Giuseppe Giulietti , proprio a Perugia, in occasione della penultima udienza: “Sono passati 22 anni -ha detto Giuletti- e penso che i giornalisti italiani non possono dimenticare chi è morto facendo il mestiere di cronista, e debbano continuare a tenere desta la memoria per ottenere verità giustizia oggi per Ilaria e Miran ma anche per altri casi dimenticati. Una richiesta di non cancellare la memoria soprattutto nei confronti di chi ha perso la vita cercando di garantire la libertà di informazione. E poi –ha concluso Giulietti– dare memoria significa costruire un futuro per molte persone”.
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