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Anabel, la voce del coraggio

Filomena De Matteis il . Senza categoria

“Non mi zittirà nessuno”. Queste le parole pronunciate da Anabel Hernádez, giornalista e autrice di “Los señores del narco” (ed. italiana “La terra dei narcos”, ed. Mondadori, 2014), durante l’incontro organizzato da Libera e da CROSS presso l’Università degli Studi di Milano, lo scorso 19 maggio.
Un incontro che ha visto un’aula piena e attenta ad ascoltare le domande di Nando Dalla Chiesa rivolte a Anabel, che ha descritto il Messico come un Paese messo in ginocchio dalla corruzione e dai cartelli della droga. Da anni la giornalista è impegnata a denunciare i narcos e i loro complici (militari, poliziotti, funzionari e politici) e per questo motivo è stata minacciata di morte. Costretta ad abbandonare il suo Paese, da alcuni anni vive negli Stati Uniti, ritornando due, tre volte al mese in Messico per continuare le sue ricerche e inchieste. Nonostante i rischi.
Sono moltissimi i giornalisti scomparsi e morti in Messico: dal 2013 ad oggi più di cento. L’ultimo, ricorda Anabel, è Manuel Santiago Torres González, ucciso il 14 maggio. Prosegue che ai narcos non interessa tanto chi parla di loro, perché sanno di essere riconosciuti; quelli infastiditi dalle inchieste e dalle parole dei giornalisti sono i politici, perché rischiano di perdere il loro consenso, il loro privilegio.
Quello degli omicidi in Messico è un metodo per diffondere il terrore: espongono i corpi violentati, mutilati e torturati nelle strade. È il modo dei narcos di imporre il silenzio. A risentirne di più non sono tanto i giornalisti, afferma Anabel, ma la società civile. A seguito dell’assenza di libertà di espressione, di informazione e di pensiero. Per questo motivo Anabel continua il suo lavoro di ricerca della verità.
“Ciò che si vede oggi in Messico è la putrefazione di decenni di storia”, ha dichiarato la giornalista. Sin dagli anni ’70 il governo messicano era coinvolto nei traffici di droga, in particolare controllava le piccole organizzazioni criminali che producevano marijuana e mapolla, ponendo delle bandiere su quei terreni e assicurandosi che gli stupefacenti uscissero dal territorio per essere trasferiti negli Stati Uniti. In cambio i gruppi criminali pagavano per questa protezione. La svolta avvenne negli anni ’80, quando le rotte caraibiche iniziarono ad essere controllate dal governo statunitense per reprimere il traffico di droga proveniente dal Sud America e diretto negli USA. Fu in questi anni che le organizzazioni criminali messicane acquistarono maggiore potere e il Messico si affermò come il maggiore Paese di transito di sostanze stupefacenti. Con l’aumento del loro potere, i narcos messicani si svincolarono dal controllo del governo e iniziarono a corrompere gran parte degli organi dello Stato: politici, funzionari, militari e poliziotti. Dietro la più grande organizzazione criminale messicana, il cartello di Sinaloa, c’era Joaquín “El Chapo” Guzmán. Il famoso capo del cartello di Sinaloa iniziò a trafficare droga a soli 15 anni, apprendendo presto i segreti e le dinamiche delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico. Ha trascorso la vita sotto la “protezione” di amici politici e poliziotti che gli hanno permesso di evadere da carceri di massima sicurezza per ben due volte. La terza, sostiene Anabel, era una detenzione inscenata per ucciderlo ma fu salvato dal governatore di Sinaloa, suo amico. La giornalista prosegue affermando che nel caso venisse estradato negli Stati Uniti sarà un punto di svolta: la cattura di El Chapo metterà in discussione il Messico, perché se deciderà di parlare gli affari illeciti e le collusioni di molti uomini potenti verranno alla luce.
“I soldi del narcotraffico sono ovunque”, afferma Anabel, “e hanno un potere corruttibile molto alto”. Numerosi Paesi del mondo hanno aperto le porte al denaro sporco dei trafficanti di droga, noncuranti della provenienza di quel capitale. “Oggigiorno ci sono dibattiti falsi sulla lotta al narcotraffico”, spiega la giornalista messicana, perché la vera lotta non si fa legalizzando la marijuana, che rappresenta una piccola parte dei ricavati (la vera ricchezza è data dalle droghe sintetiche) ma confiscando i beni ai narcos, in particolare i soldi. Il vero problema è dato dal fatto che nonostante le buone leggi contro la criminalità organizzata e il riciclaggio di denaro non ci sia una vera volontà nel combattere il traffico di droga, perché i soldi comprano molte persone.
Negli ultimi anni la droga ha riempito gli Stati Uniti fino a renderlo un mercato saturo. Una piazza interessante per i narcos è oggi rappresentata dall’Europa: la maggior parte della droga proveniente dal Sud America arriva nel vecchio continente dove ha contatti con le organizzazioni criminali locali, quest’ultimi la smistano a spacciatori di strada fino a finire agli acquirenti.
La violenza è in Messico, ma la droga sporca di sangue arriva in Europa.
Nando Dalla Chiesa chiede ad Anabel in quali persone o in movimenti spera; lei risponde che in Messico non esiste un leader politico capace di cambiare le cose, poiché la politica è troppo corrotta e una persona onesta non “sopravvivrebbe”. Solo il popolo potrà cambiare le cose, l’indignazione c’è ma manca la miccia che possa accendere questo cambiamento. Il governo riesce ancora a controllare questa miccia che un giorno porterà al cambiamento in Messico.
Oggi c’è abbastanza cultura affinché avvenga questo cambiamento. La verità, dichiara Anabel, è molto più forte dei regimi e dei sistemi corrotti.

Non sono solo i 43 studenti di Ayotzinapa

 

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