Trapani, assolto Giacalone: non diffamò il boss mafioso
È stato assolto dal Tribunale di Trapani il giornalista Rino Giacalone, imputato per aver apostrofato il boss Mariano Agate come “un pezzo di m…”. L’accusa era quella di diffamazione a mezzo stampa e l’assoluzione è stata disposta dal giudice Gianluigi Visco in base all’articolo 21.
Il procedimento era scaturito dalle denunce di Rosa Pace, vedova di Mariano Agate, capomafia di Mazara del Vallo deceduto per cause naturali nell’aprile 2013. Il processo ha ripercorso il curriculum criminale di Agate, membro della cosiddetta commissione regionale di Cosa Nostra, condannato all’ergastolo per mafia, attivo nella raffinazione e nel traffico di sostanze stupefacenti ed iscritto alla nota loggia massonica Iside 2.
In seguito al decesso il questore di Trapani ne aveva vietato i funerali pubblici ed anche il Vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, aveva rifiutato i funerali religiosi.
In quei giorni Giacalone, attraverso un articolo pubblicato sul portale Malitalia.it, aveva ricostruito i trascorsi di Mariano Agate concludendo che la sua morte togliesse alla Sicilia la presenza di “un gran bel pezzo di m…”.
Durante la requisitoria il pm Franco Belvisi aveva chiesto la condanna del giornalista ricordando che “nessuna norma prevede particolari eccezioni per i consociati mafiosi”.
I legali di Giacalone hanno citato una folta giurisprudenza, affermando come ” quanto è più noto il soggetto di cui si scrive, tanto più ampia può essere la latitudine di criticità”.
La sentenza è stata accolta da don Luigi Ciotti, da un gruppo di attivisti di Libera e dai familiari di Mariano Agate, riconosciuti come parti civili nel procedimento.
«Chi ripagherà ora Giacalone per l’ennesima “querela temeraria” scagliata contro un cronista?», chiedono il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.
Una sentenza, questa dell’assoluzione, che al di là dell’esito, peraltro non scontato, ripropone ancora una volta due questioni si cui da tempo insiste il sindacato dei giornalisti: il carcere per i reati di opinione e le cosiddette “liti temerarie”. «Continuiamo a chiedere al Parlamento – incalzano Lorusso e Giulietti – non solo di non introdurre nuove sanzioni, ma di procedere invece alla immediata abrogazione del carcere per il reato di diffamazione, così come chiesto dalle istituzioni europee, prevedendo anche norme specifiche per il contenimento delle cosiddette “liti temerarie” diventate uno strumento di intimidazione contro il diritto di cronaca».
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