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Quel macabro rituale di decapitare

Piero Innocenti il . Senza categoria

Saggia decisione fu quella, adottata oltre un anno e mezzo fa, da alcuni direttori di giornale, di non dare più spazio ai messaggi di morte dell’Isis e ai suoi tagliagole.

La propaganda in diretta a questi omicidi stava, oltretutto, determinando una sorta di corsa all’emulazione in altri paesi, come in Egitto, dove furono decapitati tre uomini accusati di essere “spie del Mossad”, e in Nigeria, nella cittadina di Mgamdu, dove la stessa sorte toccò ad altre sette persone ad opera dei terroristi di Boko Haram. Tuttavia non sono i primi né sono i soli ad esercitare questa pratica.  

Le decapitazioni sono un antico rituale spesso utilizzato, ancora oggi, anche dai narcotrafficanti messicani. Solo che l’orrore e la condanna delle decapitazioni messicane, a parte il risalto mediatico che hanno sulla stampa nazionale, non ha avuto lo stesso rilievo internazionale.

Fino ad un paio di anni fa, in realtà, era abbastanza frequente trovare, lungo le strade messicane, cadaveri di uomini e donne decapitati, squartati e lasciati in sacchi di plastica nera della spazzatura.

Uno degli ultimi rinvenimenti, in realtà, risale a pochi giorni fa  con i pezzi dei corpi di due uomini, senza testa, ritrovati nella zona portuale di Acapulco (Guerrero). Uno spettacolo terrificante, messo in scena dai narcos, come ammonimento per chi li contrasta.

La crudeltà e la bestialità delle stragi che alcuni gruppi di narcotrafficanti messicani hanno compiuto negli ultimi anni lasciano sgomenti. Non ci sono termini di paragone nel panorama mondiale della criminalità (a parte i Talebani che praticano la decapitazione sia dei soldati catturati che di quegli afghani che, ascoltando musica, vanno contro le tradizioni).

E’ ancora vivo nella memoria di molti abitanti di Uruapan, quella serata di festa, nel settembre del 2006, quando cinque teste furono fatte rotolare su una pista da ballo in una discoteca.

Per non parlare delle decine di corpi mutilati e appesi ai ponti pedonali di alcune città e dei quarantanove tronconi umani trovati (maggio 2012) senza testa, braccia e gambe, lungo la strada di Cadereyta. Gli omicidi con decapitazioni (e gli squartamenti dei cadaveri) si sono ripetute a ritmi impressionanti negli ultimi anni.  

Si potrebbe pensare che si tratti di delinquenti con gravi problemi di alterazioni psichiche e la vicenda di uno di questi, conosciuto come “El Pozolero” che guadagnava seicento dollari per ogni cadavere sciolto nell’acido (operazione compiuta per circa trecento persone!), in qualche modo sembrerebbe la conferma di criminali psicopatici predisposti geneticamente alla violenza.

In Italia, circa tre anni fa, il ritrovamento, ad Afragola, a bordo di un’auto, del cadavere di un pregiudicato della camorra, decapitato ( fatto insolito) e bruciato, suscitò qualche perplessità negli investigatori.

Nel nostro paese, soltanto ai tempi delle dominazioni spagnola e francese e della lotta contro gli “insorti”, gli episodi selvaggi e di primitività erano particolarmente ricorrenti come ci ricorda Enzo Ciconte nel suo libro “Briganti e banditi” (Rubbettino, 2012): “..tagliano la testa agli insorti e la sostituiscono con quella dei maiali appena mangiati dell’esercito”.

Oppure sui giacobini “..uccisi in vari modi e decapitati..le teste infilate nelle pertiche ed esposte nella piazza mentre la gente balla allegramente nello spiazzo imbrattato di sangue”. Lo squartamento, poi, era usanza antica e abituale che veniva praticata in tutto lo Stato pontificio. Ai tempi di Sisto V, il Pontefice che volle affrontare i banditi con grande determinazione, “..c’erano più teste tagliate a Castel Sant’Angelo che cocomeri al mercato”.

Il taglio della testa fu una pratica costante dal Seicento all’Ottocento. L’omicidio con la decapitazione della vittima rappresenta un macabro rituale simbolico.

Si uccide per terrorizzare.

L’esposizione di cadaveri con le teste recise incancreniscono l’odio e alimentano il rancore degli avversari in una spirale di violenza e di vendetta.

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