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Caro giornalista…

Paolo Auriemma* il . Senza categoria

 

Caro giornalista,

alcuni giorni fa una tua collega ha pubblicato una intervista di un componente togato del Consiglio Superiore della Magistratura.

Tra le frasi riportate alcune hanno suscitato particolare scalpore: è stato riferito che il magistrato ha affermato che il premier va fermato, che il Supremo Organo di tutela della indipendenza della Magistratura subirebbe influenze oltre che dalla politica anche da “imprenditori e liberi professionisti”, che taluni noti colleghi sarebbero legati e centri di potere editoriale e politico.  

L’intervistato ha smentito tutte tali affermazioni, ha sostenuto la propria buona fede mostrando di comprendere l’imbarazzo in cui era stato posto il CSM.

E meno male poiché ad una delle domande (“siete organizzati militarmente” in relazione alla gestione nella presenza in comizi sul referendum costituzionale), la risposta era stata positiva  (“io copro tre regioni”).

Organizzati militarmente?

Da qui una querelle interna ed esterna alla magistratura che si è spostata dalle frasi di cui non vi era più paternità al diritto del magistrato, come di ogni cittadino, di manifestazione del pensiero.

Ed interventi di alti magistrati che trattavano di frasi asseritamente mai dette, con distinguo che spostavano il piano del discorso da espressioni come quella in risposta della militarizzazione, al comportamento che la Associazione Magistrati aveva assunto dieci anni fa  quando si discuteva di una sciagurata modifica dell’ordinamento giudiziario di gran lunga ridimensionata per le prese di posizione della Magistratura che si contraddistinsero per equilibrio e sobrietà, e di cui a tutt’oggi tutta la Magistratura, e non solo una parte, può rivendicare il risultato.

Persino la Giunta Centrale della Associazione Nazionale Magistrati, in un sapiente comunicato che si contraddistingue per l’attenzione ad ogni possibile ricostruzione dei fatti, ha preso posizione sul difficile equilibrio cui deve attenersi ogni magistrato, anche nel momento in cui, posto fuori ruolo, svolge la attività di consigliere del CSM.  

A fronte di tutto questo, mi dispiace doverlo notare, la latitanza della intervistatrice, del suo direttore, del suo giornale che si è limitato alla laconica affermazione secondo cui “il colloquio con la nostra giornalista c’è stato, e ha toccato proprio quei temi”.

Toccato quei temi? Espressione misteriosa.

E poiché l’eco del silenzio è un silenzio ancor più imbarazzato, il mutismo totale delle relative associazioni di categoria della stampa.

Un silenzio che, a fronte dell’accusa ben grave di aver volutamente o per superficialità, travisato quanto detto dal magistrato, lascia intravedere scenari davvero sconfortanti.

Ci si può chiedere infatti come mai un giornale autorevole abbia inviato una giornalista così inesperta da non comprendere il senso delle espressioni che ascoltava, se vi sia stata una manipolazione di quanto detto, se tale manipolazione, ove voluta avesse un fine e se fosse casuale che tutto ciò sia avvenuto nel giorno successivo alle dichiarazioni – frutto, auspicabilmente, ché altrimenti tutto l’episodio assumerebbe ben più gravi contorni, di improvvisazioni – di componente di nomina politica del CSM.

O peggio se si sia scelto di far dibattere la Magistratura in uno sgradevole scontro interno sui limiti e sulle modalità delle affermazioni pubbliche.

Ma ciò che di più grave si può pensare, almeno per chi ritiene il ruolo del giornalista come quello di un servitore della collettività che a questa riferisce, magari fustigando, di quanto accade nei luoghi istituzionali, è che ormai proprio tra i giornalisti sia sedimentata l’idea che in fin dei conti la notizia possa esser raccontata o travisata, il fatto descritto correttamente o stravolto, la valutazione rimaner fedele a quanto accaduto o modificata nell’angolo prospettico deformando la realtà, che il fraintendere quanto l’interlocutore afferma è atto di furbizia e non di scarsa professionalità.

Quale altro significato può avere tutto questo silenzio sulla vicenda?

Ed allora, se la mia ricostruzione è sbagliata, come spero, come davvero tutti dobbiamo sperare, tu, caro giornalista, supera il timore, chiedi che i fatti siano chiariti, decidi di non nasconderti, chiedi alla tua categoria un atto di responsabilità e di orgoglio. In altre parole, caro giornalista, prendi posizione, come i magistrati, superando ogni imbarazzo, stanno facendo rispetto al proprio collega.

Così ritornerai ad avere il rispetto di quella collettività della cui libertà sei, secondo una frase ormai abusata ma che non sembra utilizzabile per questa vicenda, il “cane da guardia”.

* Procuratore capo della Repubblica di Viterbo

 

 

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