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La ferita aperta delle leggi elettorali maggioritarie

Rocco Artifoni il . Istituzioni

Nel 1993, sulla spinta del referendum che aveva abrogato alcune parti della legge elettorale allora vigente, il Parlamento approvò una nuova legge elettorale (detta “Mattarellum”) con un sistema maggioritario per il 75% dei seggi, che fu sperimentato per la prima volta nel 1994.

Proprio  a causa di questa modifica, che mirava ad attribuire la maggioranza dei seggi in Parlamento alla prima tra le minoranze, si alzò la voce di Giuseppe Dossetti, uno dei più significativi Padri Costituenti, per dire che questa nuova legge elettorale metteva a rischio gli equilibri costituzionali. Infatti, se una minoranza ottiene la maggioranza dei seggi, la maggioranza parlamentare non rappresenta più la maggioranza del popolo. Di conseguenza Dossetti propose l’introduzione di «maggioranze rafforzate per l’adozione dei regolamenti delle Camere, per l’elezione del Presidente della Repubblica, per la nomina dei Giudici costituzionali, per l’elezione dei membri  del Consiglio Superiore della Magistratura e infine – assolutamente fondamentale – per le proposte di revisione costituzionale a tenore dell’art. 138 della vigente Costituzione».

Purtroppo Dossetti non fu ascoltato e la sua proposta cadde nell’oblio. Negli ultimi due decenni abbiamo potuto toccare con mano quanto Dossetti avesse ragione.

Infatti, la prima pietra (contro la Costituzione) fu scagliata dalla coalizione del centrosinistra nel 2001, modificando radicalmente il Titolo V della seconda parte della Costituzione, con una risicata maggioranza parlamentare, che non corrispondeva alla maggioranza dei voti ricevuti. Si trattò di una revisione non condivisa, che superò il passaggio referendario (ma votarono soltanto il 34% degli elettori) e che necessariamente lasciò una scia di divisioni aperte.

Infatti, già nel 2005 il Parlamento, con una maggioranza di seggi della coalizione del centrodestra, ovviamente grazie al sistema maggioritario, approvò una nuova riforma della Costituzione, che rimodificava il Titolo V e diversi altri articoli della Costituzione. La riforma fu bocciata dal referendum, questa volta con una percentuale più significativa dei votanti rispetto al corpo elettorale (52%), ma il problema resto invariato: la coalizione che dispone di una maggioranza dei seggi, pur non rappresentando la maggioranza del popolo, si sente autorizzata a riformare la Costituzione (che pure non dovrebbe essere nemmeno a disposizione della maggioranza, dato che serve a tutelare anzitutto le minoranze).

La coalizione del centrodestra nel 2005 cambiò la legge elettorale, passando da un sistema maggioritario di collegio ad un premio di maggioranza per la coalizione, ma il risultato nella sostanza non cambia. Anzi, la nuova legge (detta “Porcellum”) tendeva a rendere ancora più certo un premio di seggi da attribuire alla coalizione che avrebbe raccolto più voti.

Nel 2013 la  Corte di Cassazione pose il problema alla Corte Costituzionale: «Tali disposizioni, non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti (potenzialmente  anche molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica».

Nel 2014 la Corte Costituzionale ha annullato alcune parti della legge, in particolare l’abnorme premio di maggioranza dato senza stabilire nemmeno una soglia minima da raggiungere per la coalizione più votata: «In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente».  

In particolare la sentenza della Consulta censura la legge elettorale perché determina “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.)”.

Dopo 20 anni, finalmente si sente l’eco della parole di Dossetti, il quale proprio in relazione alle possibili revisioni costituzionali (disciplinate dall’art. 138 della Costituzione) aveva usato l’espressione “assolutamente fondamentale”.

A questo punto ci si sarebbe dovuto aspettare un “mea culpa” pronunciato da tutta la classe politica che aveva approvato quelle leggi elettorali che hanno alterato gli equilibri dei poteri, mettendo a rischio la stessa Costituzione, con uno “scivolamento” di fatto delle procedure di revisione.

Invece l’attuale Parlamento, eletto con quella legge elettorale giudicata incostituzionale, ha modificato nuovamente la legge elettorale (detta “Italicum”) in senso maggioritario, assegnando il premio di maggioranza al primo partito anziché alla prima coalizione. Non solo: ha approvato l’ennesima revisione costituzionale, sia del Titolo V, che di molti altri punti.

Si tratta evidentemente di uno schiaffo alla logica democratica e al rispetto delle istituzioni, perché si tenta ancora una volta di forzare sia la legge elettorale che la Costituzione su basi alquanto discutibili, perché non rappresentative. Si sfruttano regole inique per stabilire nuovi equilibri.

In autunno si terrà il referendum, per confermare o abrogare il progetto di revisione costituzionale; senza entrare nel merito della proposta (oggetto di altre analisi) si può dire che la Carta Costituzionale è il nostro comune patto di cittadinanza: non è vietato modificarlo, ma ciò deve avvenire con un ampio dialogo e consenso  tra tutte le formazioni politiche, economiche e sociali. Quando un partito (che appunto rappresenta una parte) decide di cambiare da solo le regole del gioco democratico, sfruttando norme giudicate ingiuste, crea una ferita aperta, che non si potrà rimarginare, se non respingendo questa forzatura.

La via maestra resta quella indicata nell’art. 54 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”.

Senza dimenticare le parole che Piero Calamandrei  disse agli studenti milanesi il 26 gennaio del 1955: “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. La nostra Costituzione è in parte una realtà, in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro vi sta dinnanzi!”.

Come scriveva il filosofo Theodor Adorno, “non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze”.

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