Il Canada nella morsa del terrorismo e della mafia italiana
Una superficie di oltre 9milioni di kmq (trentatre volte l’Italia), ottomila chilometri di frontiera con gli Usa, sessantaseimila chilometri di costa (atlantica e pacifica), dieci milioni di spedizioni commerciali che arrivano, annualmente, nei porti e aeroporti, cento milioni di persone che varcano il confine ogni anno, millecinquecento piste di atterraggio, da quelle più grandi, negli scali internazionali, a quelle più piccole,in erba, per piccoli aerei.
Questo il Canada su cui devono vigilare le leggendarie Giubbe Rosse della Royal Canadian Mounted Police ( nata nel 1873, è l’unico corpo di polizia, al mondo, a livello federale, nazionale, provinciale e municipale). Sono sufficienti questi pochi dati per capire come sia davvero arduo, direi impossibile, il compito dei 28mila appartenenti alla polizia nazionale canadese nel contrasto alla criminalità in generale (sarebbero attivi oltre novecento gruppi criminali in tutto il paese) e a quella de narcotraffico in particolare.
A questo si aggiunga il problema dell’antiterrorismo e della radicalizzazione che hanno spinto il Commisioner della RCMP a ribadire la forte attenzione delle forze di sicurezza a questi ambiti. A partire dalla Agenzia delle Frontiere che sta attivando il progetto di impiego di tecnologie avanzate per il riconoscimento facciale da impiegare ai posti di frontiera sulla scorta di quanto già realizzato nella città di Calgary, nello svolgimento degli ordinari servizi di polizia.
Il panorama criminale nel Paese dei Laghi è molto variegato, con gruppi di origine asiatica, in particolare cinesi e tailandesi (monopolisti nella distribuzione di eroina), bande di motociclisti (distributori di marijuana e droghe sintetiche), sodalizi giamaicani e dominicani, gli onnipresenti colombiani e, naturalmente, i canadesi. Una particolare citazione va riservata alla mafia siciliana presente, da alcuni decenni, a Toronto e Montreal. La famiglia Rizzuto, storica alleata dei Cuntrera- Caruana, è stata dominante almeno fino alla fine del 2013 quando è morto il suo capo, il sessantasettenne Vito Rizzuto, tornato in “famiglia” dopo la condanna di otto anni nel carcere di Denver.
La contesa per il controllo dei mercati della droga è iniziata nel 2009 con l’omicidio di Nick Rizzuto, in pieno centro a Montreal, cui hanno fatto seguito le “lupare bianche” di Paolo Renda (cognato di don Vito), nel maggio 2010 e di Agostino Cuntrera (padrino di don Vito). Restano sempre ben saldi i contatti con la Sicilia. Emblematici, a riguardo, gli omicidi, a Bagheria, nel maggio 2013, di due boss americani (Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel), poche ore dopo che a Montreal erano stati arrestati una ventina di mafiosi coinvolti nel traffico di cocaina tra il Canada e la Sicilia.
Montreal, con il suo complesso marittimo, ha una rilevanza strategica notevole per i traffici illeciti tenuto conto anche delle oggettive difficoltà di svolgere un’adeguata attività di monitoraggio alle numerose spedizioni in arrivo e in partenza. Certo è che in questo scalo si rileva una presenza apprezzabile di persone e aziende italiane ed è forte il rischio di attività di riciclaggio e di utilizzo dello scalo sulla rotta Sud America-Canada-Europa per l’invio di carichi di cocaina. Il mercato delle droghe, tradizionali e sintetiche, continua ad essere l’ambito più appetibile per la criminalità.
Alle oltre sessanta tonnellate di marijuana sequestrate nel 2015, coltivata in territori disabitati e zone impervie dell’Ontario, Quebec e British Columbia, si aggiungono le oltre due tonnellate di cocaina e un centinaio di chilogrammi di eroina. L’hashish è, per lo più, di provenienza giamaicana e indiana mentre in tema di droghe sintetiche il Canada si conferma, anche nel decorso anno, tra i maggiori produttori mondiali di ecstasy a prezzi molto bassi( dai 5 ai 10 dollari a compressa) e con tecniche di vendita allettanti (pasticche “glitter”, luccicanti).
Negli ultimi tempi, comunque, si sta registrando una diminuita attenzione investigativa nei confronti del crimine organizzato a favore dell’antiterrorismo. Il direttore dell’intelligence canadese (CSIS), ha recentemente dichiarato (febbraio 2016), che 180 canadesi sono entrati a far parte di gruppi terroristici all’estero (non solo in Siria e in Iraq) e una sessantina avrebbero già fatto rientro in Canada. E questa è, per ora, comprensibilmente, la preoccupazione maggiore nella scala della sicurezza pubblica nazionale.
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