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Calabria, “Costa Pulita”, fermato il boss che minacciò il giornalista Pietro Comito

redazione il . Calabria

Pietro-Comito-198x240«La giustizia, stavolta, ha fatto il suo corso, assicurando alle patrie galere criminali che, tra i tanti misfatti, si erano resi colpevoli anche delle minacce ad un giornalista, Pietro Comito (in foto), al quale erano state indirizzate parole di estrema violenza che non lasciavano spazio al dubbio circa le intenzioni dei mittenti».

Commenta così la notizia dell’operazione “Costa Pulita”, che nella mattinata di oggi, mercoledì 20 aprile, ha portato al fermo di 23 persone, presunti boss e affiliati al clan dei Mancuso operante a Vibo Valentia e provincia, il segretario generale aggiunto della Fnsi e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, che manifesta, «oltre ad una sincera soddisfazione e al ringraziamento, che rivolgo ancora una volta alle forze dell’ordine e alla magistratura, la totale vicinanza al collega Pietro Comito: il suo lavoro è salvo e lui, da oggi, più tranquillo». 

All’epoca delle minacce, Pietro Comito, attualmente in servizio nell’emittente televisiva “LaC”, era caposervizio della redazione di Vibo Valentia del quotidiano “Calabria Ora”: le pesanti intimidazioni arrivarono dal boss Antonino Accorinti dopo le sue inchieste sulla ‘ndrangheta nel vibonese.  

Fonte: giornalistitalia.it 

 

I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE “COSTA PULITA”

Operazione di polizia, carabinieri e guardia di finanza nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como, Monza, per l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro nei confronti di 23 presunti boss e affiliati al clan dei Mancuso, operante nel vibonese, ed alle cosche collegate Accorinti, La Rosa e Grande, attive nei comuni del litorale.

L’operazione, denominata “Costa pulita”, è stata condotta da personale delle squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro e dello Sco della Polizia di Stato, dai carabinieri del reparto operativo di Vibo Valentia e della Compagnia di Tropea e dai finanzieri del Gico di Catanzaro. Indagini dirette dai pm Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni e coordinate dal procuratore della Repubblica facente funzioni Giovanni Bombardieri. Accuse di associazione di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. Indagati anche ex amministratori locali.

Concorso esterno in associazione mafiosa: è l’accusa ipotizzata dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Andrea Niglia, presidente della Provincia di Vibo e sindaco di Briatico dichiarato incandidabile il 20 marzo scorso dalla Corte di Cassazione, indagato in stato di libertà nell’inchiesta “Costa pulita”.

La casa di Niglia è stata perquisita stamani. Secondo l’accusa, in qualità di sindaco di Briatico, si sarebbe attivato per favorire la cosca Accorinti. In particolare, per la Procura, l’ex primo cittadino avrebbe posto in essere “condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l’attività del villaggio Green Garden costituente una delle principali fonti di guadagno della cosca”.

Niglia era stato eletto presidente della Provincia di Vibo il 28 settembre 2014 con l’appoggio dei renziani del Pd, esponenti di Ncd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il 20 marzo scorso la Cassazione ha stabilito l’incandidabilità e quindi la decadenza. Contro questa decisione lo stesso Niglia ha annunciato di aver avviato un’azione di sospensiva e revoca dell’atto.

L’indagine “Costa pulita” ha consentito anche di svelare l’ingerenza del clan Accorinti sulle cerimonie religiose della zona. In particolare, durante la processione a mare della Madonna del Monte Carmelo, che si svolge ogni 15 luglio a Briatico, i carabinieri durante il servizio di osservazione, hanno constatato che la statua della Vergine veniva trasportata a bordo dell’imbarcazione denominata “Etica” condotta proprio da Antonino Accorinti, indicato come il capo. Un ex parroco del paese ha spiegato agli investigatori che “certi soggetti del luogo dovendo imporre il loro dominio nel paese si indirizzavano alla parrocchia nel tentativo di influenzare e dominarne l’attività pastorale”.
Anche la tradizionale cerimonia dell’Affruntata sarebbe stata infiltrata dalla ‘ndrangheta. Infatti, come documentato da tre annotazioni dei carabinieri, “vi è la presenza tra i portatori delle statue di soggetti in massima parte, o riconducibili, o facenti parte delle compagini criminali”.

Fonte: Ansa

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