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Verso il referendum sulla revisione della Costituzione

Rocco Artifoni il . referendum e costituzione

In autunno si terrà il referendum per confermare o cancellare la revisione della Costituzione, fortemente voluta dal Governo Renzi, che è stata approvata in via definitiva dai due rami del Parlamento. L’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri considera tale riforma come il nodo fondamentale della linea politica del Governo e il punto qualificante della sua carriera istituzionale, al punto di essere pronto a ritirarsi dalla politica in casi di sconfitta. Per cogliere l’incongruenza del ruolo del Governo e l’ambiguità dell’atteggiamento di Matteo Renzi, è sufficiente rileggere quanto scriveva Piero Calamandrei nel 1947 durante i lavori dell’Assemblea Costituente: «Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’Assemblea sovrana».

Un articolo incomprensibile
Quando si deve scegliere, bisogna anzitutto poter capire quali sono le opzioni possibili. Questo dovrebbe valere per ogni normativa, a maggior ragione se si tratta del testo della Costituzione, il patto di cittadinanza che ogni cittadino dovrebbe conoscere, rispettare e praticare. Il vigente articolo 70 della Costituzione è così formulato: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Il nuovo art. 70, se venisse approvata la revisione sostenuta dal Governo, così diventerebbe: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma (…)”. Non servono commenti per evidenziare l’irrazionalità e l’incomprensibilità del nuovo testo, che sarebbe da bocciare anche soltanto per questa ragione. Anche in questo caso i nuovi costituenti non hanno tenuto in alcuna considerazione quanto disse Piero Calamandrei il 7 marzo 1947 intervenendo all’Assemblea Costituente: “Seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri i cui nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti (…). Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere, il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile, quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole, quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono i nostri morti, non dobbiamo tradirli”.

Il bicameralismo paritario
Con l’attuale assetto costituzionale una legge diventa tale soltanto se viene approvata da Camera e Senato. Il Governo sostiene che con la riforma il procedimento legislativo sarà più rapido, poiché per la legislazione ordinaria basterà l’approvazione della Camera per promulgare una legge. L’argomento è palesemente inconsistente. Per esempio: se il Parlamento volesse approvare due proposte di legge in due giorni, il primo giorno si potrebbe approvare la prima legge alla Camera e la seconda al Senato, il giorno successivo basterebbe scambiare i testi normativi tra i due rami del Parlamento. Risultato: due leggi in due giorni, esattamente il tempo che ci avrebbe messo la sola Camera per approvarle. Di fronte a questa evidenza matematica, i sostenitori del monocameralismo cambiano motivazione: con una sola Camera finisce il ping-pong dei provvedimenti che vengono modificati in fase di seconda approvazione e che di conseguenza richiedono una terza o magari una quarta approvazione. Ovviamente si tace il fatto che, se un ramo del Parlamento ha ritenuto di introdurre una modifica al testo licenziato dall’altra Camera, forse la norma in prima approvazione non era stata elaborata in modo ineccepibile. La seconda lettura potrebbe servire ad evitare gli errori o le sviste incorse nella prima. La fretta non è mai una buona consigliera. Di solito è meglio prendersi un po’ più di tempo, per riflettere con più saggezza sulle scelte legislative. Per le urgenze esiste il Decreto Legge, procedura già ampiamente abusata dal Governo.

La rappresentanza è una cosa seria
Con la riforma ci si prefigge anche di diminuire il numero dei parlamentari. I senatori scendono da 320 a 100. Viene da chiedersi: perché sono stati diminuiti i rappresentanti del Senato (che già erano la metà rispetto a quelli della Camera) e non si è intervenuti, come sarebbe logico aspettarsi, sul numero dei deputati (rimasti 630)? Comunque sono diminuiti, si potrebbe obiettare. Ma siamo sicuri che diminuire il numero dei rappresentanti dei cittadini sia un fatto positivo? Meno saranno e meno ci rappresenteranno: questo è certo. Non solo: siamo certi che un numero limitato di persone sia competente su tutte le materie possibili, cioè in grado di elaborare leggi sul latte come sui fiumi, sulla sanità come sugli aeroporti, sui musei come sulla privacy, sulla povertà come sulle mafie?
Inoltre, i nuovi senatori non riceveranno emolumenti, poiché la riforma prevede che possano essere eletti al Senato soltanto sindaci e consiglieri regionali in attività (che ricevono già un compenso per la funzione ricoperta). Della serie: doppio incarico obbligatorio. Negli ultimi anni erano stati introdotti limiti allo svolgimento di doppi ruoli istituzionali, perché è difficile svolgere in modo adeguato due compiti contemporaneamente. Il doppio ruolo di sindaco o consigliere regionale e di senatore non consente di svolgere bene le due funzioni. Se poi fare il senatore è gratis, perché si dovrebbe trascurare il ruolo (remunerato) di sindaco o di consigliere regionale? Così è facile prevedere che il Senato sarà un’aula spesso vuota, a causa del doppio incarico introdotto per legge, anzi, per Costituzione.
Se invece l’obiettivo fosse stato la diminuzione del costo dei parlamentari, sarebbe bastato ridurne gli stipendi, anziché ridurre il Senato ad un simulacro svuotato di presenze significative.
Per le ragioni fin qui esposte un giudizio negativo sul progetto di revisione costituzionale è doveroso.

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