Strage di Pizzolungo, 31 anni dopo
Un laboratorio per far memoria e cercare la verità. Un parco dedicato all’impegno civile inaugurato sul luogo dove furono uccisi Barbara Rizzo e i suoi figlioletti Salvatore e Giuseppe. Una grande foto, vi sono ritratti alcuni ragazzi che sembrano impegnati nel gioco del tiro alla fune, tra le mani tengono disteso un filo color rosso che riescono a spezzare. E’ una delle immagini più eloquenti di un’installazione artistica realizzata dall’arch. Giancarlo Figuccio assieme alla squadra di studenti dell’istituto Alberghiero di Erice e collocata all’interno di quello che diventerà un laboratorio dove far memoria e costruire il futuro, il miglior futuro. Tutto a Pizzolungo, sul luogo dell’orribile strage del 2 aprile 1985.
Nel luogo in cui i mafiosi piazzarono un’autobomba, è nato un parco della memoria e dell’impegno civile, un giardino a picco sul mare, con lo scenario offerto dall’arcipelago delle Egadi proprio dirimpetto, alcuni giochi per i bambini, le panchine tra i fiori e infine un piccolo edificio, per l’appunto il museo laboratorio del “Non ti scordar di me”, filo conduttore da circa 10 anni delle manifestazioni che hanno riacceso un ricordo che era finito sbiadito, quello per le vittime di quella brutale violenza firmata Cosa nostra.
L’attentato era destinato al pm Carlo Palermo, da appena 40 giorni a Trapani, trasferito in Procura da Trento. Qui aveva continuato a seguire le indagini sui traffici gestiti dalle mafie, droga, armi, ma anche i guadagni illeciti della politica, i soldi sporchi del sangue di tanti morti ammazzati che erano finite nelle casseforti di alcuni partiti e politici. Una tangentopoli criminale che il pm Carlo Palermo non ha potuto completare e scoprire del tutto, prima perché trasferito, privato delle indagini che conduceva a Trento, e poi per l’attentato subito a Trapani.
Carlo Palermo uscì indenne, se così si può dire, gravemente feriti, ma vivi, anche gli uomini della scorta, Raffaele Di Mercurio (che qualche anno dopo morirà di crepacuore), Nino Ruggirello e Totò La Porta, il tritolo mafioso fece scempio di una donna, Barbara Rizzo, 31 anni, e dei suoi figlioletti, i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta di sei anni. La donna guidava un’auto, stava portando i figli a scuola, al momento dell’esplosione si trovò esattamente al centro tra l’autobomba e la vettura, dove si trovava il pm Carlo Palermo.
In Tribunale un perito racconterà che in un solo caso su un milione l’auto di Barbara Rizzo poteva essere esattamente nel punto in cui si è ritrovata nel momento in cui gli esecutori della strage hanno schiacciato il tasto del timer per far esplodere l’autobomba. L’auto con Barbara, Salvatore e Giuseppe fecero da scudo all’autovettura con a bordo il magistrato, di quell’auto e di quelle povere vittime non è rimasto nulla, brandelli di quei corpi e pezzi di ferro dell’automobile.
Una storia cruenta ancora più cruenta per gli sviluppi giudiziari, gli esecutori, tutti mafiosi alcamesi e castellammaresi, capeggiati da Gino Calabrò (è stato condannato solo per la ricettazione dell’auto rubata e poi imbottita di tritolo, in carcere si trova per scontare condanne legate ad altre stragi quelle del 1993) e da Nino Melodia (anche lui in cella per scontare ergastoli per altre vicende), condannati in primo grado furono assolti nei due gradi successivi, altre indagini hanno portato i giudici a scrivere in sentenze collegate sempre alla strage di Pizzolungo, che davvero loro erano gli esecutori ma l’assoluzione definitiva sancita dalla Cassazione non consente di tornare a processarli.
Condannati per la strage di Pizzolungo sono stati invece i boss Totò Riina e Vincenzo Virga, capi mafia di Palermo e Trapani, e Balduccio Di Maggio e Nino Madonia, tutti all’ergastolo, i primi come mandanti gli altri due per avere trasportato il tritolo usato per l’attentato al pm Carlo Palermo.
Processi che hanno raccontato una verità a metà, manca il perché di quella strage, “non so ancora, come cittadina – dice Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime – perché la mafia voleva uccidere Carlo Palermo, non so come familiare perché sono stata privata dei miei familiari”. In quel museo tra le cose esposte ci sono i quaderni di scuola con i pensieri scritti da Salvatore e Giuseppe.
Un brivido di emozione e commozione coglie chi li ha letti, “l’Italia è la mia Patria” scriveva Giuseppe, “la primavera è alle porte, le rondinelle tornano dai paesi caldi, i prati sono verdi e il cielo è azzurro, ora l’aria è più mite” scriveva Salvatore. Sono alcuni temi scolastici del marzo 1985, pochi giorni prima del loro assassinio commesso da famelici animali mafiosi, da quegli stessi mafiosi che poi compariranno in altre indagini, da quelle sulla massoneria dell’Iside 2, di quelle logge trapanesi frequentati da boss e colletti bianchi, sino a quelle sulle stragi del 1993 passando per le guerre di mafia che in provincia di Trapani hanno consolidato il potere dei corleonesi di Riina e della famigerata famiglia dei Messina Denaro di Castelvetrano.
Individuare la verità sulla strage mafiosa di Pizzolungo significa dunque scoprire gli intrecci tra Cosa nostra, le altre mafie e i poteri forti, la politica e l’economia collusa, gli intrecci con uomini delle Istituzioni che hanno scelto di stare dalla parte dell’antistato, di politici che come spesso dice il pm trapanese Andrea Tarondo “non hanno rispettato alcuna distanza di sicurezza dalle mafie”.
L’edizione 2016 del “Non ti scordar di me”, firmata come avviene dal 2008 dal Comune di Erice e dall’associazione Libera, è tornata ad occuparsi non solo delle vittime di Pizzolungo, ma anche di altre vittime della mafia e della criminalità, dal poliziotto italo americano Joe Petrosino, ammazzato dalla mafia americana a Palermo nel 1909, al sindaco di Erice Sebastiano Bonfiglio ammazzato dalla mafia dei campieri nel 1922 a Valderice, sino al giovane Nino Via, magazziniere di un centro commerciale ammazzato a Trapani il 5 gennaio del 2007 mentre sventava una rapina ai danni di un suo collega che teneva l’incasso della giornata.
Ricordi che hanno visto protagonisti i giovanissimi studenti delle scuole ericine, con la migliore rappresentazione artistica e letteraria, teatro, canti e un fumetto.
L’edizione del “Non ti scordar di me” 2016 ha visto l’avvio del concorso giornalistico riservato agli studenti che porta il nome di Santo Della Volpe. A breve pubblicheremo gli articoli premiati, il loro contenuto è prova assieme a tanto altro di bello che si sta facendo dentro il “Non ti scordar di me” che non tutto è perduto, che la speranza di un futuro migliore è concreta e si muove grazie al cammino di questi ragazzi.
E’ lo scenario che continua a puzzare di mafia, morte, ipocrisie varie. C’è un pezzo di società che continua a negare l’esistenza della mafia come già avveniva in quel 1985, c’è un pezzo di società che fingendo di parlar di mafie sparla dell’antimafia, non ci sono i “professionisti dell’antimafia” esistono semmai i “professionisti” che creano discredito, che gettano fango, che continuano a non fare i nomi dei mafiosi e dei colletti bianchi anche quando vengono arrestati e condannati.
Trapani sta vivendo una stagione particolare, e abbiamo l’impressione che come nel secolo scorso il mafioso Al Capone fu arrestato per evasione fiscale, oggi potrebbe accedere che mafiosi, colletti bianchi e loro complici che riescono a sfuggire alle imputazioni per mafia e per concorso esterno, potrebbero cadere ugualmente dentro la rete della giustizia per altre vicende, droga, salotti a luci rosse, corruzione.
A Trapani oggi c’è una massoneria che non ha alzato bandiera bianca, che riorganizzatasi e risorta dalle ceneri della Iside 2 è tornata alle sue antiche abitudini, spiare e cercare di condizionare il lavoro di giudici e magistrati, inquinare politica ed economia.
Bisogna dire che tra i Palazzi di Giustizia e quelli della politica qualcuno sembra aver dato libero accesso alla massoneria in cambio sempre di qualcosa, promozioni, nomine, guadagni illeciti, e lo scenario di oggi somiglia tanto a quello di quel 1985, con la differenza che allora i nemici venivano abbattuti, uccisi, oggi ci sono altre azioni, chi lavora viene trasferito o infangato.
Per fortuna c’è chi alza muri a difesa, come ha fatto in Procura il procuratore Marcello Viola, nella società civile c’è chi s’impegna nonostante tutto, Libera, Agende Rosse, Libero Futuro, Addiopizzo, gli Scout, associazioni come quella intestata a Nino Via, c’è chi insomma parla e denuncia, il silenzio è l’ossigeno della mafia ma ogni giorno si cerca di togliere ossigeno a Cosa nostra, parlando, facendo memoria e costruendo nuovo impegno.
La mafia però resiste, s’infiltra nelle associazioni, d’altra parte i grandi boss come Provenzano hanno dato per tempo l’ordine di scriversi nelle associazioni antiracket che per questo oggi debbono meglio organizzarsi.
E’ tempo d’impegno, chi pensa che la mafia si possa combattere solo stando sui palcoscenici o mostrandosi in foto sui giornali farebbe bene a mettersi da parte, le sceneggiate non servono ad arrivare alla verità.
Galleria foto realizzata da: Anna Franca Lombardo e Giovanni Pappalardo
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