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La “bestemmia” che ha tramortito le mafie

Gian Carlo Caselli il . Senza categoria

Ha compiuto vent’anni la legge 7 marzo 1996 n. 109 sulla gestione e destinazioni dei beni confiscati ai mafiosi. Una legge che ha segnato una svolta nell’ordinamento italiano. Un capolavoro ideato da Luigi Ciotti ragionando su una bestemmia (strano per un prete, ma vero). La bestemmia che la mafia dà lavoro. Falso, eppure tanti ci credevano. Non solo grazie alla black –propaganda. Soprattutto perché un tempo i beni tolti ai mafiosi cessavano di essere “produttivi”. Erano irreversibilmente condannati a coprirsi di ruggine e ragnatele. Per cui il mafioso espropriato aveva buon gioco a dire in giro: “Ecco, quando il bene era mio, produceva ricchezza soprattutto per me, è vero; ma qualcosa c’era anche per voi altri che ora restate a secco; dunque fatevi i conti, meglio prima o adesso?”. Il ragionamento (ancorché i mafiosi lasciassero agli altri solo briciole, tanto per tenerseli buoni) aveva una certa presa. Ed era facile, allora, che i cittadini scegliessero di allearsi non con lo stato ma con la mafia, quanto meno mediante un comportamento omertoso di accettazione rassegnata.
La situazione viene ribaltata con la legge 109/96: i beni confiscati ai mafiosi sono destinati ad attività socialmente utili. Cioè restituiti alla collettività cui la mafia li ha rapinati, così che la collettività possa trarne profitti sociali. Ed ecco che la villa di Riina diventa un istituto agrario e poi una caserma; ecco che i terreni agricoli già dei mafiosi si aprono ad attività economiche libere di uomini liberi. Cittadini titolari di diritti, non più sudditi costretti a baciare le mani del mafioso di turno (sporche del sangue dell’ultimo delitto commesso). Sta qui il significato profondo della legge: fare dell’antimafia una legalità che paga, che conviene, che restituisce quel che la mafia ha “mal-tolto”. Una legalità che non sia soltanto questione di guardie e ladri, ma sappia invece coinvolgere chi prima restava alla finestra se non peggio. In sintesi, la legge è strumento di antimafia sociale o dei diritti, da affiancare a quella della repressione e della cultura, creando così un triplice fronte di contrasto, ben più efficace della semplice “delega” a forze dell’ordine e magistratura.
Il capolavoro di Ciotti non è consistito soltanto nella formulazione di un progetto di legge. All’idea Ciotti ha dato gambe organizzando una raccolta di firme per sostenerla. Alla fine le firme sono state un milione. Una montagna! Ad una tale pressione non si può resistere. Ed ecco che la legge fu approvata all’unanimità (ma senza estenderla ai corrotti come stava scritto nel progetto originario). Una unanimità che in ogni caso costituì una formidabile legittimazione di tutto il popolo italiano ai giovani che si sono poi organizzati in cooperative di lavoro. Spesso con l’accompagnamento ed il sostegno di “Libera” (un altro capolavoro di Ciotti), ma con modalità e percorsi giuridicamente autonomi.
Col tempo, la confisca e l’assegnazione dei beni mafiosi hanno raggiunto dimensioni enormi. Perché enormi sono i beni che la mafia ha potuto accumulare in anni e anni di sostanziale impunità “patrimoniale”. E perché enormi sono stati i progressi degli inquirenti sul versante dell’attacco alle ricchezze mafiose. Enormi, purtroppo, sono diventati anche i problemi da affrontare per la gestione e assegnazione dei beni, a fronte dell’esiguità di uomini e mezzi dell’Agenzia a ciò preposta. Mentre è venuta delineandosi anche un‘antimafia degli affari o delle partite IVA: un mestiere, un sistema di relazioni opache. E schizzi di questo fango ogni tanto si tenta di indirizzarli addirittura verso ”Libera” e don Ciotti, con accuse inconsistenti che in un’apposita audizione dell’Antimafia sono state tutte smontate. Chi riesce a tenere la barra sempre dritta diventa un simbolo e può urtare la “suscettibilità” di qualcuno.
Per altro, ci sono varie cose da aggiornare. Il pacchetto delle auspicabili riforme è consistente. Tra i punti qualificanti figurano: il potenziamento dell’Agenzia nell’ambito di una procedura più efficiente e più garantita; una particolare attenzione alla gestione delle aziende, per le quali sono previsti uno speciale fondo di rotazione e garanzia (già finanziato dalla legge di stabilità con 10 milioni di euro) e la destinazione prioritaria a cooperative di lavoratori se ne ricorrono le condizioni; un vigoroso giro di vite sulla disciplina degli amministratori giudiziari ( indispensabile dopo il “caso Saguto”). Di grande rilievo è poi l’ampliamento del novero dei soggetti cui possono essere applicati sequestro e confisca, così da ricomprendervi (oltre al caporalato e altre ipotesi) anche i reati più gravi contro la pubblica amministrazione, a partire dalla corruzione. Andrà meglio che nel 1996? L’estensione sarà ancora, per qualcuno, un boccone troppo amaro? Speriamo di no, ma non è un buon segnale che dopo l’approvazione alla Camera la discussione in Senato stenti ad iniziare.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2016

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