Capaci e via D’Amelio, le stragi decise a Castelvetrano
Ordine di cattura, l’ennesimo, per il latitante Matteo Messina Denaro, Fu per i pm di Caltanissetta mandante delle stragi siciliane del 1992
Il boss della nuova mafia, quella “2.0”, il capo mafia al centro di quel crocevia di commistioni tra Cosa nostra, la politica, le imprese, l’uomo che avrebbe frequentato banche e logge massoniche, non a caso messe insieme come emerge da diverse indagini condotte nel tempo contro la cupola trapanese, adesso si ritrova indagato per la stagione stragista siciliana del 1992. Matteo Messina Denaro, capo mafia di Castelvetrano, 54 anni ad aprile, latitante dall’estate del 1993, è destinatario di una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura antimafia di Caltanissetta. Il nuove filone di indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio riaperte dalla Procura nissena già quando era sotto la direzione dell’odierno procuratore generale sempre di Caltanissetta, Sergio Lari, ha portato anche a Matteo Messina Denaro che per le stragi, quelle del 1993, le bombe piazzate dalla mafia a Roma, Milano e Firenze, è stato già da tempo condannato all’ergastolo dai giudici fiorentini. La presenza del boss Matteo Messina Denaro in queste nuove indagini sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio, dove furono uccisi i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino con i loro agenti di scorta, conferma l’assunto che l’ordine di piazzare il tritolo sotto l’autostrada di Palermo-Punta Raisi, e nella strada di Palermo dove abitava la famiglia del procuratore Borsellino, arrivò dai più alti vertici della mafia e dai boss, come Matteo Messina Denaro, che intanto avrebbero intavolato un dialogo faccia a faccia con uomini delle istituzioni. In questo scenario il capo mafia castelvetranese Matteo Messina Denaro c’entra perfettamente proprio perchè lui faccia a faccia con i politici si sarebbe spesso trovato. Nell’ordinanza di Caltanissetta si fa riferimento ad un summit tenutosi a castelvetrano durante il quale furono decise le stragi del 23 maggio e del 19 luglio 1992. Matteo Messina Denaro, boss super riservato anche con i suoi più fedeli complici, oggi poi sarebbe, secondo alcuni pentiti, il “custode” dell’archivio riservato dal capo mafia di Corleone Totò Riina. Sarebbero in suo possesso le carte che altri mafiosi sarebbero riusciti a far sparire dalla cassaforte dell’ultimo covo di Totò Riina, dalla casa di via Bernini che come oggi ha ancora confermato in aula l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, sentito nel processo sulla presunta trattativa Stato/Mafia, non fu sorvegliato dai carabinieri del capitano Ultimo, al secolo colonnello Di Caprio, come questi invece aveva assicurato a Caselli il 15 gennaio del 1993 a poche ore dall’arresto di Riina e dall’insediamento a Palermo dello stesso magistrato. Perquisizione non ne fu fatta nella casa di Riina perchè si voleva vedere chi poteva avvicinarsi a quella villetta. Qualcuno si avvicinò ma nessuno alla fine lo vide. Furono prese quelle carte, il cosidetto “papello” forse, così come definito da Massimo Ciancimino, cioè quelle carte che Riina era riuscito a dare al potente politico Vito Ciancimino, i pentiti dicono che ciò che c’era nella cassaforte di Riina fu consegnato a leoluca Bagarella e da questi a Matteo Messina Denaro. Il custode di tanti segreti della mafia, vecchia e nuova.
Trackback dal tuo sito.