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L’evasione è anche in contanti

Rocco Artifoni il . Senza categoria

Era il 3 novembre 2015 quando Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei Ministri, in una conferenza stampa a proposito della proposta di innalzamento (da 1.000 a 3.000 euro) della soglia per l’uso dei contanti affermava: «Al primo che mi dimostra la correlazione tra il tetto al contante e l’evasione cambio provvedimento». Lo stesso giorno Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d’Italia, durante un’audizione al Senato evidenziava come «i limiti all’uso del contante non costituiscono, ovviamente, un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, specie per il grande riciclaggio, ma introducono un elemento di difficoltà e controllo sociale che può ostacolare forme minori di criminalità ed evasione». La discussione sarebbe finita lì, se a quel punto – per coerenza – il Governo avesse ritirato la proposta, che invece successivamente è stata approvata dal Parlamento all’interno della Legge di stabilità.

È qui opportuno ricordare che era stato il Governo Monti a ridurre nel 2011 l’uso del contante da 2.500 a 1.000 euro, con una norma contenuta nel cosiddetto decreto “salva Italia”. Questa scelta era stata indicata nel Rapporto del MEF (Ministero Economia e Finanza) del 2011, curato dal Gruppo di lavoro “Economia non osservata e flussi finanziari” sotto il coordinamento di Enrico Giovannini, presidente dell’ISTAT. Infatti, nella sezione del “report” in cui erano contenute diverse azioni di contrasto all’evasione da mettere in campo, si faceva specifico riferimento alla necessità di limitare l’uso del contante e di accrescere il ricorso alla moneta elettronica. In altre parole, era stato il Ministero competente a indicare la via della riduzione del limite all’uso del contante. Poi è arrivato il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che invece ha affermato: “non esiste, a mia conoscenza, una correlazione tra limite all’utilizzo del contante e estensione dell’economia sommersa”.

Eppure per una conferma della correlazione sarebbe bastato leggere la dozzina di pareri che la Banca Centrale Europea ha emesso sulle leggi nazionali che limitano l’uso del contante. In ciascun caso, lo scopo dichiarato dai governi nazionali – e accettato come legittimo dalla BCE – era «combating tax evasion and the shadow economy» ovvero “combattere l’evasione fiscale e l’economia sommersa”. I pareri suggeriscono infatti che limitare l’uso del contante sia una misura efficace – non certo l’unica – per ridurre sia l’evasione fiscale sia l’estensione dell’economia sommersa.

Le più importanti ricerche internazionali mostrano come ad un eccesso di denaro contante in circolazione rispetto al bisogno, corrisponda un ampliamento dell’economia sommersa. In particolare, l’autorevole economista Kenneth Rogoff dell’Università di Harvard ha scritto: «La moneta contante rende facile compiere operazioni economiche o finanziarie in modo anonimo e aiuta a nascondere attività economiche agli occhi del governo in un modo tale che potrebbe permettere alle persone di evitare l’applicazione di leggi, regolamenti, tasse».

In un articolo pubblicato il 20 ottobre 2015 sull’autorevole portale lavoce.info, gli economisti Giovanni Immordino e Francesco Flaviano Russo, dopo aver citato diverse ricerche dalle quali «si nota che più sono diffusi i pagamenti elettronici, più è difficile evadere (vista la tracciabilità del pagamento) e, quindi, minore è l’evasione”, così concludono: «crediamo che l’innalzamento del limite all’uso del contante potrà portare a un aumento dell’evasione e, soprattutto, che sia un segnale di scarso impegno nella lotta ai fenomeni evasivi e al riciclaggio. Una politica che l’Italia certamente non può permettersi».

A far presente tutte queste ricerche, report e pareri hanno provveduto Libera e il Gruppo Abele, che attraverso il portale “riparteilfuturo.it” hanno raccolto decine di migliaia di firme per chiedere a Matteo Renzi di evitare l’innalzamento della soglia per l’uso del contante.  Tutto inutile: nessuna modifica è stata apportata su questo punto.

Purtroppo non è tutto. Il 22 ottobre 2015 (cioè 10 giorni prima della conferenza stampa di Matteo Renzi) è entrato il vigore il decreto legislativo n. 158 di riforma dei reati tributari. Tra le novità più importanti vi sono gli innalzamenti delle soglie di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (si passa da 50.000 a 150.000 euro, per ciascun periodo d’imposta) e di omesso versamento IVA (la soglia di punibilità viene innalzata alla quota di 250.000 euro, per ciascun periodo d’imposta). In questo modo, viene notevolmente limitato  l’ambito di rilevanza penale, riducendo la maggior parte dei comportamenti illeciti a sanzioni amministrative. In altre parole il Governo ha emanato un Decreto Legislativo che su questa materia ha operato una decisa depenalizzazione e, diversamente dalle modifiche apportate per altri reati tributari, a compensazione dell’innalzamento delle soglie di punibilità non ha previsto un aggravamento del trattamento sanzionatorio.

L’aspetto più inquietante di queste nuove norme in realtà sta nella loro attuazione rispetto al passato. Infatti, in nome del principio di retroattività della norma più favorevole al reo, le nuove disposizioni si applicheranno (per i processi in corso) anche ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore. Di conseguenza tutti gli evasori di somme superiori alla soglia precedente, ma inferiori alla nuova, dovranno essere assolti se nei loro confronti non è ancora stata pronunciata una sentenza definitiva, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. A seguito dell’assoluzione si verifica l’effetto paradossale per cui i beni sequestrati, corrispondenti all’importo delle somme evase, dovranno essere restituiti agli evasori, perfino se era già intervenuta una condanna di secondo grado (e mancava solo la pronuncia della Cassazione), non avendo previsto la trasformazione del sequestro penale in sequestro amministrativo (divenendo invece il reato sanzione amministrativa). Infine, persino i condannati con sentenza passata in giudicato, potrebbero richiedere al giudice la revoca della sentenza e delle pene comminate.

Il problema dell’evasione è sicuramente più antico della nostra Repubblica. Ezio Vanoni, ministro delle Finanze, il 26 luglio del 1949, presentando in Senato il disegno di legge “Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale straordinario”, affermava: «il fenomeno dell’evasione fiscale oggi si verifica su scala preoccupante e compromette una equa distribuzione dei carichi tributari. In una simile situazione la pressione tributaria diviene vessatoria e veramente insopportabile per gli onesti e per le categorie di contribuenti che non possono sfuggire all’esatta determinazione dell’imposta per motivi tecnici. L’evasione, specie rispetto a taluni tributi sulla produzione e sugli affari, assume i caratteri di uno strumento di concorrenza sleale, così da compromettere i normali rapporti economici e di spingere sulla strada della frode fiscale una schiera sempre più numerosa di contribuenti».

Parole analoghe a quelle di Vanoni sono state pronunciate recentemente nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «un elemento che ostacola le prospettive di crescita è rappresentato dall’evasione fiscale. Secondo uno studio recentissimo di Confindustria, nel 2015 l’evasione fiscale e contributiva in Italia ammonta a 122 miliardi di euro. 122 miliardi! Vuol dire 7 punti e mezzo di PIL. Lo stesso studio calcola che anche soltanto dimezzando l’evasione si potrebbero creare oltre trecentomila posti di lavoro: gli evasori danneggiano la comunità nazionale e danneggiano i cittadini onesti. Le tasse e le imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero».

Per combattere seriamente l’evasione fiscale bisognerebbe anzitutto allargare il conflitto di interessi tra cliente e fornitore di un prodotto o di un servizio, attraverso un significativo ampliamento della deducibilità e della detraibilità delle spese effettuate. Chi compra dovrebbe avere un reale interesse a farsi dare lo scontrino o la fattura, come per esempio già avviene per le ristrutturazioni edilizie e per le spese sanitarie. In fondo si tratterebbe di applicare anche ai contribuenti il sistema già utilizzato per le imprese e per i lavoratori autonomi, che dà la possibilità di “scaricare” la maggior parte delle spese, deducendole dal reddito.

Ci sono anche molte altre azioni utili che si potrebbero mettere in atto: per esempio la riduzione dell’IVA renderebbe meno conveniente il pagamento in nero e porterebbe a maggiori entrate delle imposte sui redditi. Per contrastare l’evasione fiscale delle imprese bisognerebbe consentire le intercettazioni anche nelle indagini relative al reato di “esterovestizione”, cioè di creazione di società fittizie all’estero per pagare meno tasse. Converrebbe inoltre incentivare l’uso della moneta elettronica e delle transazioni tracciabili, in alternativa all’uso dei contanti. Infine occorrerebbe verificare anche per i contribuenti la congruenza tra patrimonio posseduto e reddito dichiarato (per esempio attraverso un ISEE obbligatorio per tutti).

L’attuazione di queste proposte significherebbe limitare oggettivamente le possibilità di evasione fiscale, a maggior ragione se accompagnate da un aumento dei controlli, utilizzando i dati informatici disponibili. Purtroppo non è ciò che sta facendo il Governo con l’aumento delle soglie per l’uso dei contanti e dell’allargamento dell’area di non punibilità per le imprese che non versano le imposte e i contributi dovuti. Le scelte operate e gli impegni disattesi da Matteo Renzi ricordano la favola delle avventure di Pinocchio, dove le bugie fanno diventare il naso lungo e soprattutto hanno le gambe corte. Speriamo che prima o poi anche il Governo Renzi – come Pinocchio – si ravveda.

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