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A Ragusa e nel ragusano “la mafia non c’è”. Però ci sono le armi, le latitanze e gli affari…

Paolo Borrometi il . Sicilia

Scrivere di mafia (o di mafie) a Palermo, a Trapani, è semplice. E’ ovvio scriverne, così come ovvio è parlare di fatti di mafia nel catanese o nell’agrigentino. Lo è perfino nel siracusano ed anche a Messina.

Eppure in Sicilia c’è una provincia, quella di Ragusa, dove la “mafia non esiste”, in cui scriverne è quasi impossibile, innanzitutto perché, il secondo dopo, si viene etichettati come “pazzi e visionari”.

Incuranti di qualsiasi “patente” di pirandelliana memoria, cerchiamo di fare solo il nostro lavoro: ne parliamo. Parliamo di mafia, anzi di mafie, nella provincia dove tutto “deve” andare bene per “convenzione” sociale. Una tranquillità che, negli anni, ha costituito un habitat comodissimo per latitanze (Provenzano, Santapaola, Messina Denaro – solo per citarne alcune) ed affari di ogni sorta. Perché fa comodo un po’ a tutti.

Non agli inquirenti (qualcuno, non tutti) o ai magistrati che da qualche tempo indagano seriamente nel ragusano.

Così è nato il “caso” Scicli, meglio conosciuto al grande pubblico come la “Città del Commissario Montalbano”. Comune oggi sciolto per mafia, con il (già) sindaco rinviato a giudizio per associazione esterna mafiosa.

Così nasce il “caso” Vittoria, la città che mi ostino a definire “delle quattro mafie”.

La prima mafia, quella storica siciliana, “Cosa Nostra”; la seconda, quella nata in questo territorio, la “Stidda”; la terza, la “‘Ndrangheta”; la quarta, i “Casalesi”.

C’è tutto questo (e molto altro) a Vittoria, città a confine con la terra batia di Gesualdo Bufalino, Comiso (nel ragusano) e Gela (nel nisseno).

La storica Cosa Nostra c’è da sempre, eppure la Stidda nel vittoriese si è sviluppata e ha tenuto testa ai storici “corleonesi”, a tratti (in passato) facendosi guerra, oggi convivendo pacificamente.

La “pace”,  la non conflittualità, è ciò che le rende – per assurdo – ancora più pericolose. Forse la non conflittualità apparente, in termini di pericolosità, è seconda soltanto all’omertà dilagante, al non parlarne.

Così un “bel” giorno ci ritrovammo persino la mafia calabrese, la ‘Ndrangheta a commerciare cocaina in questa parte di Sicilia e l’uccisione, appena un anno fa, del boss ‘ndranghetista Michele Brandimarte proprio a Vittoria, ne fu un esempio lampante.

E poi i casalesi. I casalesi che tramite il trasporto su gomma “da e per” il mercato ortofrutticolo di Vittoria (il più grande per mole d’affari del sud Italia), la hanno colonizzata. Rispettati e temuti dagli altri “boss” del luogo che si guardano bene dal pestargli i piedi in quelli che sono i “loro affari”.

Ma che la mafia, o meglio le mafie, non ci siano nel ragusano, è una barzelletta che continua ancora oggi. Una barzelletta “comoda comoda”, smentita da fatti che cerchiamo ostinatamente di offrire, partendo in questa occasione dai recenti sequestri di armi – l’ultimo proprio di ieri -. Vere e proprie “santa barbara” ritrovate oggi ad incensurati, ieri ad affiliati.

Nel giro di due mesi, Polizia e Finanza, hanno sequestrato una quarantina di pistole ed una trentina di fucili, tutti illegalmente detenuti, oltre ad armi con congegni di puntamento per il tiro di precisione utilizzati dai cecchini, pistole modificate e con silenziatore, munizioni, giubbotti antiproiettile, fucili a pompa con puntatore laser, materiale esplodente, macchine per fabbricazione e modifica delle potenzialità delle munizioni ed un numero imprecisato di munizionamento.

Il tutto tenuto pressoché alla luce del sole (a parte sporadici casi), con una disinvoltura eccessivamente preoccupante. L’arroganza di chi nulla (o poco nulla) teme. La stessa arroganza che è propria di chi cerca continuamente di intimidire, minacciare di morte ed usare la forza per i propri affari.

Affari a tanti zeri, quelli del Mercato ortofrutticolo, quelli della droga, quelli degli appalti in questo lembo di terra. Baciata dal sole, dalle ricchezze architettoniche e dal silenzio.

Si, perché se “parli” ti finisce per essere “quello che se le cerca”. Quando forse, sottolineo forse (sic!), l’unica cosa da ricercare sarebbe proprio la voglia di amare questo territorio, apprezzandone le bellezze ed estirpando ciò che non va, parlandone e denunciandolo. E non a suon di armi, di ricatti o di estorsioni (anche questo fenomeno purtroppo molto poco denunciato), ma a ritmo di sequestri, coraggio e voglia di riscatto…

Perché mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi è “comodo comodo” come la barzelletta che “la mafia non esiste”, ma ci rende complici, ci rende responsabili di morti, sofferenze e schiavitù. Il nostro silenzio ci rende schiavi. Sta a noi decidere!

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