Ciao Santo!
In occasione della scomparsa del nostro Santo Della Volpe, amici e colleghi ne hanno ricordato carriera e impegno con parole cariche di stima, amicizia, rimpianto. Per cercare di aggiungere qualcosa di significativo, devo per forza affidarmi al mio personale album dei ricordi.
Le prime due istantanee in cui il protagonista è Santo sono legate entrambe a Palermo e ad un luogo divenuto simbolo di quella città, nel bene e nel male: l’aula bunker costruita accanto al carcere dell’Ucciardone.
Nella prima di queste immagini, quella più sbiadita e ancora in bianco e nero, Santo è fermo, davanti all’ingresso dell’aula, accanto ai soldati e ai blindati dell’esercito. Sta raccontando con pazienza e precisione le udienze del maxiprocesso a Cosa nostra, il momento davvero epocale nella lotta alla mafia nel nostro Paese. È il 1986.
Nella seconda istantanea, anche questa sbiadita ma già a colori, ci sono anche io. Ci troviamo entrambi all’interno di quell’aula, allora soprannominata “l’astronave verde”, ma non siamo soli. Con noi tanti altri colleghi di giornali e tv: ne ho dovuti contare più di trecento, provenienti da ogni parte del mondo, registrando diligentemente gli accrediti per conto dell’ufficio stampa del Comune di Palermo, dove all’epoca lavoravo. Operatori dei mass media, magistrati, avvocati e gli altri sono lì riuniti per il processo a Giulio Andreotti, uno degli uomini politici più potenti d’Italia, finito alla sbarra con l’accusa infamante di aver aiutato Cosa nostra. Anche in quella circostanza Santo racconta il processo all’Italia intera, con il consueto impegno professionale che è anche passione civile nel suo caso. È il 1995.
Con Santo ci incontreremo nuovamente in giro per l’Italia, in occasione di alcuni incontri pubblici promossi da Libera, negli anni immediatamente successivi alla sua nascita. E poi, nella Fondazione Libera Informazione, la nuova realtà voluta da Libera e da Roberto Morrione per monitorare il racconto della mafia e dell’antimafia in Italia, per costruire ponti virtuosi tra testate locali e stampa nazionale, per documentare i fenomeni criminali e spiegare ai cittadini quello che normalmente i media non hanno tempo e voglia di documentare: da un lato la stretta mortale di crimine mafioso e corruzione sulla nostra democrazia, dall’altro le pagine dell’impegno collettivo e personale che rappresentano la vera speranza per un domani diverso.
Il rapporto con Santo si è però fatto più stretto e quotidiano inevitabilmente con la scomparsa di Roberto nel maggio 2011, quando entrambi ci siamo trovati a fare i conti con l’eredità professionale e civile di Morrione.
Il nostro rapporto non è stato facile all’inizio, anzi diciamo pure che ci sono state scintille tra di noi e le nostre visioni divergevano profondamente. Ognuno di noi due aveva una sua personale idea su come muoversi e cosa fare per continuare a dare vita a Libera Informazione. Al tempo stesso sembrava a ciascuno di noi che le ragioni e le proposte dell’altro non tenessero conto della realtà: una piccola e agguerrita redazione, i pochi fondi a disposizione e una difficoltà nel fare quadrare i conti, una grande richiesta di presenza di Libera Informazione sui territori e una ancora più grande necessità di fare rete, di fare squadra con quelle che Morrione chiamava “le tante tribù del giornalismo italiano”.
Insomma, all’inizio, la nostra non è stata una convivenza assolutamente facile, visti anche i rispettivi caratteri, ma doverosamente forzata per il bene di Libera Informazione. Eppure proprio in quei giorni, da quelle difficoltà, anche da quegli scontri ne è nato un rapporto solido, franco che è evoluto in sintonia e fiducia e non è sfociata in amicizia soltanto per mancanza di tempo. Quel tempo di cui Santo non è stato più padrone, una volta che anche lui è stato colpito da una malattia implacabile. Come è accaduto per Roberto, Santo non ha lesinato energie, facendosi letteralmente in quattro, negli ultimi mesi: dall’impegno alla Rai al nuovo incarico di presidente della FNSI, da Articolo 21 a Libera Informazione, non c’è stato momento in cui sia mancato il suo apporto e il suo impegno nelle tante battaglie per i diritti, la giustizia sociale, in difesa del giornalismo di denuncia.
Avevamo ancora tanti progetti da portare avanti, avevamo ancora tante pagine da scrivere insieme: chissà cosa ne sarebbe sortito, non lo sapremo mai..
Ora non ci resta che fare tesoro della sua lezione umana e professionale e capire cosa c’è da fare per non disperdere il patrimonio giornalistico e civile che Roberto Morrione e Santo Della Volpe hanno costruito con abilità e costanza, nel nome di Libera.
Fonte: Narcomafie, n°4, settembre/ottobre 2015
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