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La P2: una storia seria

Francesco M. Biscione il . Senza categoria

La morte di Licio Gelli riporta il pensiero di molti alle vicende oscure e violente di un passato recente, ma l’abitudine – ormai inveterata – ai titoli urlati crea un frastuono che impedisce di cogliere per intero la portata di quella storia. La strategia della tensione, il golpe Borghese, la strage del treno Italicus, l’omicidio di Vittorio Occorsio, i “servizi deviati”, la conquista del Corriere della sera, il delitto Moro, la strage di Bologna, la maxitangente Enimont, le liste di Catiglion Fibocchi e, in breve, tutte le vicende che hanno avuto a che vedere con la P2 si dispongono come frammenti sparsi dei nostri ricordi, allo stesso tempo dolorosi e inafferrabili.

La nostra generazione non è ancora riuscita a ricomporre i lunghi e drammatici anni settanta, con la conseguenza che essi ci gravano ancora addosso e ci impediscono di vedere con chiarezza quanto di quel passato è ancora dentro il nostro presente. Salvo poi sbalordirci nello scoprire, per esempio, che Massimo Carminati è lo stesso Massimo Carminati noto circa quarant’anni fa per i fatti dei Nar e della banda della Magliana, oppure trovarci costretti a rincorrere la triste sequela delle P3, P4 ecc. ecc., o trovarci mestamente a meditare che i poteri criminali negli anni settanta non erano estesi e potenti come oggi. Stessa cosa per la corruzione.

Ciò che soprattutto come generazione non abbiamo ancora compreso è che non fu solo o tanto una storia criminale, ma soprattutto una storia politica: fu una lotta di lunga durata volta a scardinare la democrazia e a demolire il progetto costituzionale-repubblicano sul quale, all’indomani della seconda guerra mondiale, gli Italiani avevano tentato di ricostruire il proprio destino. Fu una lotta segreta e illegale, senza esclusione di colpi, che passò per diverse fasi e diverse strategie e che ebbe più direttrici, dentro e fuori le istituzioni, spesso tra loro collegate. Fu una lotta, infine, che colse il successo con l’assassinio di Moro, quando fu polverizzata l’unica strategia che intendeva riformare la politica sulle basi progettuali della Repubblica.

La loggia P2 è stata l’agente più consapevole e continuo di questa lotta e se si rileggono la relazione di Tina Anselmi e i lavori e i documenti della Commissione d’inchiesta (gli atti parlamentari sono di pubblico dominio: link) si trovano infiniti spunti per comprendere quelle dinamiche. Ma quella narrazione, sebbene indispensabile, è oggi per noi troppo vecchia sia perché al tempo della commissione (1984) i guasti maggiori erano già stati compiuti sia per la tanta acqua passata nel frattempo sotto i ponti.

Da allora le vive discendenze della P2 hanno continuato a operare (che cosa è stato il berlusconismo se non il rilancio, creativo e originale, delle tematiche piduiste?) e non vi è più stata una classe politica in grado di tenere conto della complessità e delle tradizioni del paese. La politica, nei migliori dei casi, si è vista costretta a costruzioni fragili, incerte e provvisorie perché il terreno di base – istituzionale, politico, culturale – era e rimane irrimediabilmente dissestato. Con la perdita di autonomia della politica i poteri criminali, che dagli anni settanta sono divenuti parte integrante dell’attacco alla democrazia, si sono estesi rendendo peggiori i rapporti civili e noi stessi. La nostra stessa coscienza, con la perdita di una progettualità collettiva, ne è risultata menomata.

I disastri compiuti da Gelli e dai suoi amici sono profondi e resteranno fino a quando non ne saremo consapevoli; fino a quando, cioè, non saremo in grado di costruire una nuova progettualità collettiva in grado di portare il paese verso un nuovo assetto democratico.

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