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“Mafia Capitale” e le sentenze della Cassazione

di Edoardo Levantini il . Lazio

Un altro sigillo sull’indagine “Mafia Capitale”. La Cassazione ha riconosciuto  – in questa fase cautelare  – il carattere di associazione mafiosa di “Mafia Capitale”, l’organizzazione che – secondo gli inquirenti sarebbe guidata da Massimo Carminati, soprannominato “Er Cecato“. Si tratta di due provvedimenti che mettono un punto fermo sulla configurabilità del reato di cui associazione a delinquere di stampo mafioso al gruppo criminale guidato da Carminati.  La sentenza sottolinea:  “la connotazione mafiosa di un’associazione inerisce al modo di esplicarsi dell’attività criminosa, e non già al luogo di origine del fenomeno  criminale (Sez. 1, n. 2466 del 08/11/1984, dep. 22/11/1984, Rv. 166817), sicchè non assume un rilievo decisivo, ad es., la circostanza di fatto che, sia pure a fini strategici, la stessa possa avere dei collegamenti con quelle che potrebbero definirsi “case madri”, quali la mafia, la camorra e la `ndrangheta. Ciascuna entità associativa di stampo mafioso, infatti, al di là del “nomen”  più o meno tradizionale, vive di regole proprie ed assume altresì connotati strutturali, dimensioni operative ed articolazioni territoriali che vanno analizzati caso per caso, senza che i relativi modelli debbano essere necessariamente riconducibili ad una sorta di unità ideale, con la conseguenza che, a ciascun fenomeno associativo, potranno annettersi caratteristiche peculiari e ritenersi  applicabili “massime di esperienza”, non necessariamente trasferibili rispetto a  sodalizi mafiosi di diversa matrice (Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013, dep.  07/05/2013, Rv. 256042)”. 

La Cassazione si sofferma sulla forza d’intimidazione dell’organizzazione, sulle sue caratteristiche “imprenditoriali” l’organizazzione si è avvalsa di una capacità di  intimidazione già collaudata nei settori criminali più “tradizionali”, per esportarne  poi gli stessi metodi, in forme più raffinate, nei nuovi campi di elezione amministrativi ed economico-imprenditoriali, dove, più che ricorrere all’uso diretto della violenza o della minaccia, ha sfruttato tutte le possibilità offertegli dal richiamo ad una consolidata “fama criminale”, senza tuttavia rinunciare al disvelamento, se necessario, delle tipiche forme di manifestazione della sua  natura. In tal modo, l’associazione ha potuto imporre il suo controllo su gran parte delle attività dell’amministrazione capitolina, utilizzando uno strumento imprenditoriale già collaudato, che grazie all’asservimento di pubblici funzionari infedeli, ovvero per il diretto ricorso a forme di intimidazione, ha assunto un ruolo sostanzialmente monopolistico, aggiudicandosi le gare pubbliche nei settori di interesse e beneficiando altri imprenditori ad esso collegati, senza lasciare  spazio ai concorrenti, costretti a soggiacere alle prevaricazioni del sodalizio senza  nemmeno osare di denunziare il sistema illecito venutosi in tal modo a creare […]. La Corte non usa mezzi termini e parla di una occupazione dello spazio amministrativo ed istituzionale attraverso un uso criminale delle forme di esercizio della publica potestas, basato sul possibile ricorso ad una forza intimidatrice autonoma del vincolo associativo, da questo direttamente originata e in quanto tale percepita, anche all’esterno, come un elemento strutturale permanente del sodalizio”.

Il profilo imprenditoriale – criminale e la spiccata attitudine ad interloquire con la pubblica amministrazione sono elementi assolutamente peculiari di “Mafia Capitale” forse dovuti alla notevole visione politica- imprenditoriale di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Questo  lo potrà confermare solamente il processo che si aprirà, il prossimo novembre, innanzi alla X° sezione del tribunale di Roma. Rimane il fatto che il curriculum vitae di Massimo Carminati costituisce un unicum nel panorama criminale romano e non solo. Egli vanta una formazione politica di livello nel Msi, una condivisione del cammino eversivo della destra estrema, una lunga militanza nella Banda della Magliana uscendo indenne dai conflitti e faide che contribuirono alla fine dell’organizzazione romana.  L’inchiesta della Dda di Roma dimostra che lo strumento costruito dal legislatore con il sacrifico di tanti – tra tutti il segretario del PCI siciliano e primo firmatario della proposta di legge Pio La Torre e del generale Carlo Alberto dalla Chiesa – è una risposta concreta ed efficace all’evoluzione dei sistemi mafiosi con le leggi vigenti si possono ottenere significativi risultati, a condizione che la magistratura e l’insieme delle agenzie di law and enforcement si attrezzino professionalmente per un impiego sempre più accorto e penetrante degli strumenti normativi disponibili.


*Edoardo Levantini è fra i curatori del Rapporto “Mafie nel Lazio” dell’Osservatorio regionale Sicurezza e legalità realizzato con la collaborazione della Fondazione Libera Informazione (nell’articolo si citano alcuni passaggi dei seguenti documenti:  Cassazione sez VI n. 24535 2015 Buzzi Salvatore + altri e Cassazione sez VI n. 24536 2015 Panzironi Franco + altri  2 Cassazione sez VI n. 24535 2015 Buzzi Salvatore + altri  3 Cassazione sez VI n. 24535 2015 Buzzi Salvatore + altri  4; Costantino Visconti “A Roma una Mafia c’è e si vede” in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1434314438VISCONTI_2015.pdf)

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