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La criminalità cinese nell’immigrazione

di Piero Innocenti il . L'analisi

Alcuni recentissimi episodi di cronaca, tra cui quello di Treviso, con l’arresto di alcuni cinesi e di un poliziotto dell’ufficio immigrazione della locale Questura, su presunte “agevolazioni” nel rilascio di permessi di soggiorno a cinesi irregolari, hanno riacceso i riflettori mediatici sulla immigrazione clandestina gestita da segmenti della criminalità cinese presenti in Italia. Il fenomeno delle immigrazioni dall’Africa verso il Vecchio Continente di migliaia di persone in gran parte in fuga da guerre e persecuzioni, ma anche da condizioni economiche e sociali drammaticamente precarie, continua ad interessare il nostro paese ponendolo di fronte a serie problematiche di accoglienza, di integrazione, ma anche di criminalità. Criminalità che investe diversi ambiti, dal traffico di stupefacenti, ai reati predatori, allo sfruttamento della prostituzione, alle estorsioni, all’usura, al riciclaggio, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Proprio in quest’ultimo campo la criminalità cinese ha assunto ormai un assetto organizzativo e gestionale di tutto riguardo. E non solo in Italia, ma in molti paesi europei dove, da molti anni, sono state poste le basi di vere “agenzie di collocamento” utilizzando le principali città come scali per il transito e la destinazione finale di eroina, droghe sintetiche e per lo smistamento di clandestini. Dal traffico di connazionali le Triadi ( la mafia cinese) ricavano ingentissimi profitti facendo leva sulla disperazione e sul desiderio di affermazione dei cinesi che aspirano a far fortuna all’estero. E’ uno straordinario serbatoio di reclutamento di manovalanza criminale e di forza lavoro a prezzi irrisori. In Olanda, per esempio, la penetrazione della criminalità organizzata asiatica in generale è stata notevole. Lo sviluppo dell’imprenditoria cinese, in particolare quello legato alla ristorazione e la flessibile politica dell’immigrazione (almeno fino a poco tempo fa) da parte del governo olandese, hanno determinato negli anni passati un notevole afflusso di giovani cinesi, in particolare da Hong Kong. Si è verificato, così, una apprezzabile immigrazione di criminali cinesi che come copertura ostentavano un impiego ufficiale in un ristorante. Tra i gruppi criminali presenti, ancora la Sun Yee, la Wo Shin Yeee mentre alla Tai Huen Chai sarebbe stato riservato il settore specifico del traffico clandestino di connazionali, in molti casi fatti assumere obbligatoriamente dai ristoratori dietro il pagamento di una tangente equivalente alle somme di denaro non corrisposte per gli oneri previdenziali e assistenziali. In Belgio sono attive a Bruxelles le Triadi 14K e Wo Sing Wo. Da Parigi alcuni capi delle Triadi esercitano una buona influenza su molte cellule presenti in altri paesi europei. Stessa presenza, silenziosa ma pervasiva, in Germania, ad Amburgo, Stoccarda, Norimberga e Francoforte, non solo nel controllo del traffico di clandestini ma anche nel gioco d’azzardo, nello sfruttamento della prostituzione, nella falsificazione di documenti, nell’estorsione in danno di imprenditori cinesi, nel traffico di droghe. Nell’area balcanica, in particolare in Serbia, Kosovo e Bosnia, il transito agevolato della “merce umana” è assicurato dalla criminalità cinese. In quest’ultimo paese, poi, secondo la testimonianza di un poliziotto italiano in servizio, anni fa, in quelle zone, la “mafia cinese” è ancora più crudele di altre mafie ( il riferimento era alla “scomparsa” dei cadaveri di prostitute cinesi). L’Italia continua ad essere ancora, nonostante tutto, una sorta di “terra promessa” tanto che, rispetto a dieci anni fa, quando i cinesi regolari erano poco più di 103 mila, oggi, a gennaio 2015, se ne contavano oltre 260mila ( ai quali vanno aggiunti i circa 70mila minori iscritti sui titoli di soggiorno dei titolari), oltre ad alcune migliaia di “irregolari” concentrati, in prevalenza, in Lombardia, Toscana, Lazio, Veneto, Emilia Romagna ma anche in Campania e Sicilia. Che la comunità cinese in Italia fosse numerosa già anni fa, era emerso dal ritrovamento ( agosto 2004), a Genova, nel contesto di un’indagine della Guardia di Finanza sul contrabbando, di una pubblicazione di “pagine gialle”, un opuscolo, rigorosamente in ideogrammi, con l’indicazione di circa dieci mila esercizi commerciali cinesi, con tanto di numeri telefonici, distribuiti in una novantina di province italiane. Tra le rotte percorse dai “clandestini” si segnalano ancora quella che prevede un viaggio a piedi o in pulman dalla Cina all’Afghanistan ed un successivo trasferimento in aereo verso la Malesia, in Montenegro, Albania, fino alla coste pugliesi oppure attraverso Trieste dopo aver attraversatola Serbia,l’Ungheria, la Bosnia. Difficoltà linguistiche, omertà, paura di rappresaglie contriuiscono a rendere particolarmente difficili le operazioni di polizia. Tutto reso ancor più difficile da associazioni di protezione degli immigrati che si costituiscono sotto nomi diversi nei vari paesi con la funzione primaria di fornire uno strumento di intermediazione con comunità e istituzioni che, se non considerate ostili, sono dai più sentite come estranee.

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