Reggio Calabria, la sentenza di Appello del processo “All inside”
Narcomafie – La Corte d’Appello di Reggio Calabria si è espressa in merito al processo “All inside”, che ha visto coinvolti alcuni tra i maggiori esponenti della cosca Pesce della ‘ndrangheta di Rosarno. Il processo si è concluso il 30 aprile in serata, dopo quasi dieci ore di camera di consiglio, con una sentenza che ha confermato le condanne in primo grado del Tribunale di Palmi, a cui si è aggiunto qualche sconto di pena e alcune assoluzioni, tra cui quella di Carmelo Luciano, carabiniere un tempo in servizio nella tenenza di Rosarno e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per lui una delle poche assoluzioni concesse in revisione della sentenza di primo grado.
Cinquantotto gli imputati, processati con il rito ordinario. L’organizzazione della cosca è stata ricostruita nell’ambito dell’inchiesta guidata dal pm Alessandra Cerreti; l’impianto d’accusa si è basato sulle tradizionali attività investigative, sul ricorso ad alcune intercettazioni e sulle dichiarazioni di Giuseppina Pesce, la quale, dopo un periodo di detenzione nel carcere di San Vittore a Milano, ha deciso di diventare collaboratrice di giustizia. Giuseppina sarebbe stata spinta a collaborare per amore dei suoi tre figli, nonostante rischi e minacce. Le sue dichiarazioni sono state preziose per lo sviluppo delle indagini e hanno dato modo ai carabinieri di portare alla luce l’organizzazione interna della ‘ndrangheta rosarnese. “Giusy” Pesce è infatti la figlia del boss Salvatore Pesce (già condannato a 27 anni e 6 mesi di detenzione). A seguito della sua decisione di collaborare con la giustizia avrebbe infatti confessato di essere stata il collegamento tra il padre (dal carcere) e gli affiliati della cosca. Grazie a lei sarebbero state impartite indicazioni su estorsioni e strategie d’azione della cosca per nascondere il proprio patrimonio.
I Pesce avrebbero avuto il totale controllo su Rosarno, stando ai dati dell’inchiesta, a partire dalle estorsioni fino agli appalti pubblici e persino sulle squadre di calcio (la Rosarnese e l’Interpiana). Giuseppina Pesce, imputata in questo processo per reati prescritti, avrebbe confermato i dati già in possesso dei Carabinieri. A seguito del processo sono state condannate anche Angela Ferraro (13 anni e 7 mesi di carcere) e Maria Stanganelli (7 anni), altra donna che avrebbe, secondo i magistrati, fatto da tramite tra uno dei boss, Francesco Pesce, e gli affiliati. A riprova del ruolo delle donne all’interno della cosca.
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