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«Legge anticorruzione? Norme blande e inefficaci»

di Dario De Luca* il . Sicilia

MEDIONEWS* – a abbandonato per qualche ora le aule del palazzo di giustizia del tribunale di Palermo per confrontarsi con gli studenti universitari dell’ateneo di Catania. Nino Di Matteo, magistrato condannato a morte da Cosa nostra, che ormai da anni si occupa delle indagini sui rapporti tra la mafia e pezzi dello Stato italiano nell’ambito della cosiddetta trattativa Stato-mafia, è stato l’ospite principale dell’incontro dal titolo Mafia-economia e corruzione.

Di Matteo, a cui è stato riservato l’intervento finale, si è detto «emozionato e felice della possibilità di poter parlare davanti a così tanti giovani». Al centro delle sue parole l’intreccio tra mafia e sistema legale. «Roba da far tremare i polsi. Non possiamo pensare e accettare che la repressione si possa limitare alla mafia militare e ai delitti tipici come le estorsioni». Il salto di qualità per investigatori e società civile è quello che riguarda la rescissione delle infiltrazioni nel mondo della politica e dell’imprenditoria.

Un triangolo d’interessi emerso a Catania e provincia nell’inchiesta Iblis, ma anche nella recente denuncia di Nello Musumeci, presidente della commissione antimafia al parlamento regionale, che ha parlato di alcuni membri del consiglio comunale etneo sospettati di aver ricevuto nel 2013 l’appoggio di «determinati ambienti malavitosi in campagna elettorale. Alcuni con parenti e familiari pregiudicati condannati per reati associativi». «Cosa nostra ha da sempre avvertito la necessità d’infiltrarsi tra le istituzioni – ha spiegato Di Matteo -. Dobbiamo parlare di ragioni di opportunismo in un sistema di convenienza reciproca. La politica deve capire che non c’è solo la responsabilità penale e che non si può attendere l’esito dei processi. Tutto è stato ormai demandato alla magistratura per il controllo della legalità».

Analisi critica quella che Di Matteo riserva anche alla gestione legislativa da parte del governo Renzi del reato di corruzione. Secondo il rapporto 2014 di trasparency International, l’Italia è infatti il primo Paese dell’Unione europea per la percezione del fenomeno. Nonostante le numerose inchieste dove a farla da padrone sono mazzette e favori, la legge anticorruzione recentemente approvata in Senato non convince il magistrato palermitano. «Questo sistema in cui mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia continua a essere impunito con norme blande e non efficaci e con un modello di prescrizione del reato che rappresenta la sconfitta più atroce per lo Stato». Le parole finali il magistrato palermitano le riserva per un appello indirizzato ai numerosi studenti. «Siate partecipi e lottate per la verità e la giustizia perché solo così potete diventare consapevoli che la sconfitta della mafia passa per il vostro impegno».

Al tavolo dei relatori, oltre al giornalista e moderatore Luciano Mirone, c’erano anche l’ex pm Antonino Ingroia, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e presidente del movimento Agende rosse, il direttore della testata Antimafia2000 Giorgio Bongiovanni e padroni di casa Giacomo Pignataro e Giuseppe Barone, rispettivamente rettore dell’ateneo catanese e direttore del dipartimento di scienze politiche e sociali. Assente invece la presidente del consiglio comunale Francesca Raciti.

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