Colpire i barconi dei trafficanti in Libia? Una soluzione irrealizzabile
Giusto un anno fa, avevamo accennato al paziente lavoro di intelligence di alcuni analisti della Polizia di Stato, nel cui rapporto si parlava anche della ricerca affannosa di barconi in legno da parte dei trafficanti di persone che gestiscono il “servizio” in territorio libico. In questo scorcio di 2015, infatti, alcuni uomini armati, in almeno tre circostanze, hanno costretto l’equipaggio di nostre motovedette, che si trovavano a ridosso delle coste libiche a prestare soccorso a migranti, a lasciare nelle loro mani le imbarcazioni. E’ la conferma di questa esigenza nel recupero di mezzi, anche malridotti, da riutilizzare per soddisfare, in tempi brevi, una domanda in crescita esponenziale. Tutto questo avveniva poche settimane fa in relazione anche all’aggravamento della situazione di guerra civile, in un paese allo sbando, e alla ipotizzata spedizione militare internazionale ( bocciata dall’Onu e dagli americani) sollecitata dall’Italia, che vede più vicina e concreta la minaccia dell’Isis, già presente in alcune città libiche della costa. La situazione, come noto, è diventata ancor più drammatica dopo il naufragio di alcuni giorni fa di un peschereccio che ha colliso con una nave portacontainer portoghese giunta per prestare soccorso. Il bilancio sarebbe di diverse centinaia di migranti annegati e solo 24 salvati. Questo evento ha riacceso i riflettori nazionali ed europei sullo sconvolgente fenomeno migratorio marino proveniente, da anni, dalle coste africane, e spinto alla ricerca di soluzioni alla accoglienza ma anche per porre un argine alla moltitudine di profughi in arrivo ( un anno e mezzo fa, il presidente Renzi e il ministro Alfano, tirarono le orecchie al prefetto Pinto, direttore centrale dell’immigrazione che aveva parlato di 800mila persone che si accalcavano sulle coste libiche!).
I barconi sono diventati, dunque, con il passar degli anni, beni preziosissimi ( da ricordare che sono stati diverse centinaia quelli abbandonati in mare alla deriva dopo i soccorsi) e sempre più difficili da recuperare sul mercato. In realtà, dopo gli arresti effettuati dalle forze di sicurezza italiane, nel 2014, di alcuni equipaggi delle cosiddette “navi madre”, ( un ultimo caso del genere si è avuto una ventina di giorni fa e stavolta la partenza ere avvenuta dalle coste libiche), le organizzazioni criminali libiche preferiscono pescherecci in legno – rispetto ai gommoni – che possono trasportare un numero ridotto di persone. Per fronteggiare la crescente richiesta di traversate ( ancora oggi si parla di diverse centinaia di migliaia di persone in attesa), i trafficanti stanno rastrellando porticcioli e insenature costiere, per comprare il maggior numero di barche ( anche in pessime condizioni e riparate alla meglio) spostandosi anche nella confinante Tunisia e in Egitto. Gli affari vanno a gonfie vele e sulla spregiudicatezza e disumanità di queste persone, evidenziate anche dalle recenti dichiarazioni dei sopravvissuti al naufragio di pochi giorni, fa basterebbe ricordare ( e far rileggere, anche a qualche politico) alcuni spregevoli colloqui emersi, nel corso di intercettazioni telefoniche durante le indagini di polizia giudiziaria. E, intanto, mentre si parla di una poco credibile operazione militare-civile, da effettuare solo dopo il nulla osta dell’Onu, che autorizzi le forze armate a colpire i barconi dei trafficanti ( identificati come?) ormeggiati lungo le coste libiche e gli scafisti ( sono l’ultimo anello delle organizzazioni internazionali di trafficanti di persone), in mare e in terraferma, molti uomini e donne, si accingono, ancora in queste ore, a fornire il loro generoso servizio per salvare vite umane ( più di 24mila quelli già soccorsi nel 2015, al 21 aprile, di cui moltissimi giovani e un centinaio di neonati di appena pochi mesi), le terribili dichiarazioni in televisione di alcuni cittadini (“chissenefrega di quei morti affogati”) e della onorevole Santanchè ( “bombardiamo i barconi in mare”), dovrebbero farci riflettere e vergognare sullo scadimento umano raggiunto nel nostro paese.
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