Le mani dei clan sul settore dei giochi nel Salento
di Antonio Nicola Pezzuto// – Un’importante operazione della Guardia di Finanza nel Salento, nei giorni scorsi, ha smantellato due gruppi criminali che avevano imposto un monopolio illegale nel settore della produzione e distribuzione di apparecchi da gioco. Un blitz imponente che ha visto impiegati oltre 150 militari. L’ordinanza, emessa dal Gip del Tribunale di Lecce, Antonia Martalò, su richiesta dei Sostituti Procuratori della Repubblica Carmen Ruggiero e Giuseppe Capoccia e del Procuratore Capo della Repubblica, Cataldo Motta, dispone la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di 19 persone e quella degli arresti domiciliari per altri 18 soggetti. Nel corso dell’operazione è stato inoltre sequestrato un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato grazie alle attività criminali. Nel corso dell’operazione, denominata “Clean Game”, è stato inoltre sequestrato un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare, per un valore di oltre 12 milioni di euro, accumulato grazie alle attività criminali. Lo Stato sottrae ai clan 69 fabbricati, 25 terreni, 3 autovetture, 10 società di capitali, 2 ditte individuali e saldi attivi di conti correnti accesi presso quindici istituti dI credito.
“Un gruppo mafioso autonomo, è questo l’aspetto più importante dell’operazione, quello che fa capo ai fratelli De Lorenzis”, commenta il Procuratore Capo Cataldo Motta. Infatti, al centro delle indagini, troviamo due gruppi criminali: quello dei De Lorenzis di Racale e quello minoritario di Silvano De Leone, anch’esso di Racale Gruppi, come afferma il Procuratore Motta, autonomi rispetto alla Sacra Corona Unita, ma comunque vicini ai potenti clan dei Padovano di Gallipoli e dei Troisi di Casarano, storici esponenti della Scu. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, truffa ai danni dello Stato, frode informatica, esercizio di giochi d’azzardo ed esercizio abusivo di giochi e scommesse aggravati dal metodo mafioso, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e associazione per delinquere.
Le indagini dell’inchiesta “Clean Game” prendono il via nel 2010 da una serie di controlli della Guardia di Finanza presso esercizi pubblici del territorio salentino. L’attività delle Fiamme Gialle era finalizzata a contrastare e reprimere il dilagante fenomeno del gioco d’azzardo e le forme di evasione fiscale ad esso collegate. È cosi emersa sul territorio l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso capeggiata dai fratelli Pasquale, Pietro, Saverio e Salvatore De Lorenzis che, avvalendosi di metodi mafiosi, avevano creato un vero e proprio cartello criminale al fine di monopolizzare il settore della produzione e distribuzione degli apparecchi da gioco. Gioco d’azzardo ma anche esercizio abusivo dell’attività finanziaria. I clan, infatti, favorivano l’avviamento delle attività commerciali che dovevano ospitare i loro videogiochi concedendo prestiti. E se i commercianti non riuscivano a restituire il denaro, i gruppi mafiosi si impossessavano degli esercizi commerciali . È il meccanismo dell’impresa che nasce sana e diventa mafiosa. Meccanismo attraverso il quale le mafie entrano in gangli vitali dell’economia inquinandola a scapito della libera concorrenza e del libero mercato, in quanto l’imprenditore mafioso può avvalersi di capitali a costo zero derivanti da altre attività criminali.
Gli inquirenti hanno accertato che i videogiochi imposti agli esercenti avevano i software alterati. Gli apparecchi, pur se collegati alla rete telematica dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, trasmettevano solo parzialmente i dati riguardanti le giocate, favorendo così l’evasione fiscale. Sempre grazie alle modifiche del software, i clan riuscivano a predeterminare e a ridurre le eventuali giocate vincenti degli avventori, ottenendo così lauti guadagni. L’organizzazione mafiosa era in grado di intervenire a distanza per impedire una vincita o limitarne l’entità. Il gruppo minoritario, quello di Silvano De Leone, si occupava soprattutto della vendita e dell’alterazione delle schede di gioco riproducenti giochi d’azzardo, come il poker e le slot machine, ed alla distribuzione dei cosiddetti “Totem”. Cioè, come si legge nell’Ordinanza, di quegli “apparecchi elettronici mediante i quali, attraverso il collegamento alla rete internet, è possibile accedere sia a giochi offerti da soggetti in possesso del titolo concessorio attraverso siti autorizzati, che a giochi illeciti perché d’azzardo e offerti al di fuori del circuito autorizzato”. Tra gli indagati spicca il nome di Salvatore De Lorenzis, detto “Stuppata”, da non confondersi con Salvatore De Lorenzis alias “Ciolo”, cognato di De Leone, anche lui coinvolto nelle indagini.
Nome di spicco quello del De Lorenzis “Stuppata”, non solo nel panorama criminale ma anche in quello della dolce vita, fatta di rapporti con personaggi importanti del mondo dello spettacolo, del jet set, del mondo del calcio e del grande schermo. E, soprattutto, delle belle donne. Come dimostra il matrimonio, poi naufragato, con l’attrice e show girl Carolina Marconi. Fu un evento mondano di cui tanto si parlò all’epoca proprio per la partecipazione di tante star. Correva l’anno 2009.
Di spessore, il suo ruolo nell’associazione criminale. Il De Lorenzis, come recita l’Ordinanza, si occupava “dell’acquisto di schede di gioco modificate da installare nei congegni da divertimento ed intrattenimento successivamente distribuiti intrattenendo rapporti commerciali con Nicola Femia, alias Rocco, persona di spicco della criminalità organizzata calabrese”. Rapporti con il Femia, e quindi con la ‘Ndrangheta, erano intrattenuti anche dall’altro Salvatore De Lorenzis, il “Ciolo”. Un altro soggetto importante all’interno del sodalizio è Lucio Riotti, gà condannato per associazione mafiosa con sentenza della Corte di Assise di Appello di Lecce, divenuta irrevocabile il 25 febbraio del 2000. Forte il suo legame con i De Lorenzis, come appurato dalle indagini. Quando Salvatore De Lorenzis “Stuppata” ha acquistato l’associazione sportiva dilettantistica “Real Racale Calcio”, militante sino alla stagione calcistica 2013/2014 nel Campionato di Eccellenza Pugliese, ha nominato il Riotti team manager e direttore sportivo del sodalizio. Scrive il Gip nell’ordinanza: “ I De Lorenzis si sono avvalsi dell’opera di Riotti nell’attività di messa in esercizio degli apparecchi da intrattenimento sfruttando la sua nota caratura criminale per esercitare quella peculiare capacità di intimidazione derivata loro dall’essere contigui a più esponenti della Sacra Corona Unita. Egli gestiva inoltre una sala giochi di proprietà del gruppo e per questo percepiva uno stipendio settimanale dai De Lorenzis. Il suo ruolo all’interno dell’associazione era quello di intermediario nei rapporti dei De Lorenzis con i titolari di esercizi pubblici e a lui era affidata la risoluzione di qualsivoglia problematica che si frapponesse all’attuazione del complesso piano criminoso ordito dal sodalizio. In considerazione della sua caratura criminale, gli venivano affidati compiti di “controllo del territorio”, tanto con riferimento ad eventuali tentativi di “invasione” del mercato da parte di concorrenti operatori commerciali, quanto con riferimento alla gestione degli esercenti ove sono installati i congegni dell’organizzazione. Rispetto agli esercenti, in particolare, le indagini hanno dimostrato l’intervento del Riotti allo scopo di definire, anche ricorrendo alla minaccia, situazioni debitorie verso il clan”. La forza del gruppo criminoso si evidenzia anche nel sistematico assoggettamento di due servitori infedeli dello Stato: Luigi Mele (sostituto commissario di polizia) e Dario Panico (ispettore dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato). I due, pur non essendo inseriti nell’associazione, vendevano i propri servizi al fine di agevolare le attività criminali del clan mafioso.
Come emerge dall’ordinanza, Luigi Mele “da una parte, abusando della sua funzione, si adoperava per risolvere in favore dei De Lorenzis i procedimenti pendenti presso il suo ufficio e sorti in seguito al sequestro di apprecchi illegali effettuati nei confronti dell’impresa formalmente intestata a Sebastiano Bagnato; dall’altra si adoperava per far conoscere in anticipo i luoghi nei quali erano programmati gli interventi della pg, così consentendo di eliminare situazioni di illegalità”. Per quanto riguarda Dario Panico, le indagini hanno appurato l’esistenza di intensi rapporti con Antonio Mancino, altro soggetto coinvolto nell’operazione e Lucio Riotti. Si legge nell’Ordinanza: “Il Panico, in violazione dei doveri ed obblighi relativi alle sue funzioni, durante i controlli eseguiti da lui, ometteva di documentare le irregolarità riscontrate sugli apparecchi da intrattenimento noleggiati dai De Lorenzis e di procedere al sequestro, falsificava verbali già redatti in modo da non fare risultare le irregolarità riscontrate, informava preventivamente, anche per il tramite di Riotti, Mancino circa i luoghi ove avrebbero proceduto a controlli delle sale da gioco”. Dalle indagini è emerso anche l’interesse del clan per il mondo del calcio. Infatti, come già riportato nell’articolo, Salvatore De Lorenzis aveva acquistato una squadra di calcio. Afferma a tal proposito il Procuratore Motta: “Da sempre riscontriamo un interesse da parte delle organizzazioni mafiose nei confronti delle società di calcio. Come ho detto più volte, si realizza una doppia finalità: da una parte il riciclaggio del denaro proveniente da attività mafiose, e dall’altra la ricerca del consenso”. Il capo della Procura evidenzia poi l’importanza dei sequestri e delle confische dei beni ai mafiosi: “Più che con le manette è con l’applicazione di provvedimenti patrimoniali e di sottrazione delle risorse finanziarie che si colpiscono i gruppi malavitosi”. L’alto magistrato esprime infine tutta la sua amarezza: “Ci hanno aiutato molto le intercettazioni. Se avessimo dovuto aspettare le denunce da parte dei titolari degli esercizi commerciali non avremmo concluso nulla. Questa è la dimostrazione della condizione di assoggettamento e di omertà nelle quali si trovano le vittime”.
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