Mafia, politica e imprenditoria. L’inchiesta Aemilia segna una svolta
“Un risultato storico, senza precedenti”. Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti certifica la svolta che l’inchiesta Aemilia, coordinata dalla direzione distrettuale di Bologna segna nel contrasto alla criminalità organizzata, tanto da essere presentata come un modello investigativo per future indagini in Emilia e nel resto del nord.
117 misure cautelari sono state eseguite su richiesta della dda di Bologna (la maggior parte in provincia di Reggio Emilia), 37 su richiesta della dda di Catanzaro, 9 su richiesta della dda di Brescia, in coordinamento fra loro e insieme alla direzionale nazionale antimafia. Ma l’indagine continua, ha precisato Roberto Alfonso, il procuratore capo bolognese.
Associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa i reati più gravi, ma i capi di imputazione sono moltissimi, tra i quali estorsione, usura, impiego di denaro proveniente da delitto. Le indagini hanno ricostruito la genesi di quella che Alfonso ha definito una mafia imprenditrice. E’ nata come attività investigativa puntata su una propaggine della cosca ndranghetista cutrese guidata da Nicolino Grande Aracri, quando il 9 giugno 1982 arrivò in Emilia Antonio Dragone, in seguito a un provvedimento di soggiorno obbligato; poi, nel corso di trent’anni, è diventata una organizzazione mafiosa dotata di autonomia economico-finanziaria e che ha saputo mantenere la propria capacità intimidatoria, consolidandosi in particolare nella provincia di Reggio Emilia e modellandosi sulle caratteristiche del tessuto emiliano.
Era diretta da 6 promotori che controllavano altrettante zone nel territorio emiliano, mentre 5 organizzatori svolgevano attività imprenditoriale di raccordo con 68 affiliati. Una vera e propria realtà mafiosa che intrecciava politica, imprenditoria e società civile. Fra gli indagati ci sono infatti imprenditori, soprattutto edili (arrestato anche Augusto Bianchini, che con la sua azienda ha lavorato nello smaltimento delle macerie del terremoto del 2012 e nell’opera di ricostruzione), politici e amministratori pubblici che affrettavano le pratiche favorevoli all’organizzazione criminale, avvocati, commercialisti, il giornalista di Telereggio Marco Gibertini, diversi rappresentanti delle forze dell’ordine. Per quasi tutti questi ultimi l’accusa è “accesso abusivo al sistema informatico (avrebbero passato informazioni riservate agl appartenenti alla cosca), rivelazione di segreto d’ufficio, favoreggiamento, estorsione. L’agente di polizia ex autista della Questura di Reggio, Domenico Mesiano, arrestato nell’ambito dell’inchiesta, è accusato di minacce alla giornalistadell’edizione locale del Resto del Carlino, Sabrina Pignedoli, affinché non pubblicasse notizie sulla famiglia di Antonio Muto, uno degli arrestati per associazione mafiosa.
Oltre a numerosi episodi di estorsione, usura, minacce, danneggiamenti, riciclaggio di denaro, truffa, bancarotta fraudolenta, le indagini hanno scoperto anche tentativi di inquinare il voto a Parma nel 2007 (per questo è indagato l’allora presidente del consiglio comunale di Parma Giovanni Paolo Bernini) e nel 2012, a Salsomaggiore (PR) nel 2006, a Sala Baganza (PR) nel 2011, a Bibbiano (RE) nel 2009, a Brescello (RE) nel 2009.
Fra i moni presenti nell’inchiesta ci sono anche quelli del consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, di Forza Italia, e dell’ex assessore del Comune di Parma, Giovanni Paolo Bernini.
Nell’inchiesta è coinvolto anche il responsabile del settore Lavori pubblici del Comune di Finale Emilia, Giulio Gerrin, accusato di aver favorito l’azienda Bianchini.
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