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Il futuro della memoria

di Daniela Marcone il . L'analisi, Puglia

Appare strano parlare di un futuro della memoria, un po’ come dire il futuro del passato.

La memoria che mi interessa, in questo contesto, è quella relativa alle vittime innocenti delle mafie e giunti a fine anno, con le prospettive e le speranze del prossimo che inizierà tra qualche giorno, è tempo di bilanci e riflessioni.

I portatori diretti di questo tipo di memoria sono i familiari delle vittime stesse. Familiari molto prossimi ma anche più lontani.

Una volta all’anno, moltissimi di noi si incontrano nel luogo scelto per  l’iniziativa annuale più importante di Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie – ossia quella del 21 marzo, il primo giorno di primavera. La giornata della memoria e dell’Impegno, in ricordo di tutte le vittime delle mafie. Chi tra di noi ne ha la possibilità, aiutati dall’organizzazione di Libera, arriva il giorno prima per un momento collegiale di racconto ed ascolto. È una sorta di grande assemblea, perfino difficile da gestire, in cui si cerca di incoraggiare i nuovi arrivati a raccontarsi. Raccontare il loro dolore ma anche la storia del loro congiunto ucciso dalla criminalità organizzata.

Alcuni dei nuovi si fanno coraggio, ma anche tanti tra noi da molto tempo in Libera, sentiamo il bisogno di condividere ciò che proviamo. È un momento catartico, importante, carico di significato, denso di emozioni vive, nonostante il tempo trascorso dagli eventi.

Mentre racconti, se riesci a non guardare nel vuoto ma ad incontrare lo sguardo degli altri, trovi empatia: la tua storia si confonde con quella degli altri. C’è la consapevolezza che il giorno dopo ascolteremo i nomi dei nostri cari, letti nel corso di un grande corteo, tutti insieme, chi parteciperà al corteo e noi familiari. Percepire quel senso di appartenenza non ha prezzo.

Tutto questo, mi spinge a riflettere su quale possa essere il futuro della memoria di cui siamo portatori noi familiari, a chi consegnarlo e con quali modalità.

Mi spiego meglio. Pensiamo ai partigiani che raccontano le vicende che hanno vissuto, intrise degli ideali che hanno difeso. Si tratta di storie che affondano nel secolo scorso. Qualcuno sostiene che si tratta di storie superate. Invece non lo sono affatto, lo sarebbero se fossero inserite nei libri di scuola. La storia di quegli anni è scritta anche dalle donne e dagli uomini che hanno vissuto sulla loro pelle gli errori di chi governava, da una parte e dall’altra. Non credo al destino.

Mio padre è stato ucciso perché molti hanno sbagliato. Ha sbagliato chi ha premuto il grilletto. Ha sbagliato chi ha ordinato di sparare. Ha sbagliato chi ha pensato che la giustizia non avrebbe fatto il suo corso. Ha sbagliato chi ha cercato di occultare la verità. Ha sbagliato chi non ha creduto che quella verità appartenesse ad una intera comunità e non ad una famiglia. Mio padre non è andato incontro al suo destino.

Il futuro della memoria è continuare ad affermare gli errori, i fallimenti di chi ha ucciso un altro uomo per interesse. Il futuro della memoria è ricordare che chi esercita  un potere deviato non vince.

Il futuro della memoria è fissare i contorni di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

In alcuni anni mi è parso così faticoso ascoltare i racconti degli altri familiari. Ma oggi vedo quelle storie come piccoli tesori da preservare. Io so che il peso di queste storie è notevole. Alcuni hanno smesso di raccontare. Altri non ne hanno mai avuto il coraggio.

Abbiamo molto da fare per preservare questa memoria. Dobbiamo scriverle tutte quelle storie e provare a renderle patrimonio dei territori. In alcuni territori si conosce la strage di Capaci ma non ciò che è accaduto dietro l’angolo.

Qualora le risultanze giudiziarie sulla trattativa Stato–mafia ridisegnassero i contorni di un pezzo importante della nostra storia, sarebbe bello che le singole storie delle vittime delle mafie si inserissero come tessere di un grande puzzle che chiarisse tanti punti oscuri del passato. Un passato che, chiarito, avrebbe la forza di far tornare a vivere tanti nostri “caduti” che hanno creduto profondamente in un mondo migliore oppure si sono trovati semplicemente nella traiettoria di una pallottola diretta ad altri.

Oggi siamo immersi in una realtà in cui tutto sembra confondersi e la verità appare sempre più una categoria astratta, vive in un mondo iperuranio,  talmente lontana da sembrare impossibile.

Dobbiamo modificare con forza questa situazione. Riaprire i casi giudiziari irrisolti perché quelle verità processuali possano essere la verità del nostro territorio. È un lavoro difficile ma necessario ed è tempo di farlo.

Questo è il futuro della memoria delle vittime delle mafie, ricordare che non c’è democrazia senza verità, produrre atti concreti che rendano la verità una realtà e non solo una speranza.

Negli ultimi anni mi sono resa conto che nel precario equilibrio sociale che viviamo, chiedere giustizia sui singoli casi delle vittime innocenti delle mafie è diventato sempre più faticoso ed anzi molti di noi hanno perso la speranza o, peggio, ci è stato chiesto di perderla. Quante volte mi sono sentita ripetere che la verità intera sulla morte di mio padre non verrà mai a galla. Mi è stato detto con quell’affetto mellifluo di chi ti vuole dare un doppio messaggio: vivi la tua vita e lascia vivere chi non vuole più sentire parlare di casi irrisolti, di dolore. Io stessa sono caduta in questa trappola e presa dallo scorrere della quotidianità ho rinunciato. Oggi capisco che bisogna riprendere la strada e so anche che non devo farlo da sola.

Ecco, forse questo è il cuore della riflessione. Spesso ci siamo sentiti paragonare ai partigiani come portatori di una nuova forma di resistenza. È vero, bisogna resistere e farlo tutti insieme, come nel corso del corteo del 21 marzo. La nostra resistenza,  che consiste nel chiedere giustizia e verità, può essere il motore e la motivazione dell’impegno di tanti. La bellezza della vita di tante persone uccise per ideali importanti, può illuminare la stanchezza e la sfiducia che caratterizzano il contesto sociale del nostro presente.

Il futuro della memoria è riportare alla luce la bellezza della verità ed auguro a tutti noi, il bellissimo e coraggioso “popolo” di Libera, di vivere l’anno che viene con la passione e la forza che la richiesta di verità ci chiede e di cui abbiamo già dato grande prova.

 

 

 

Daniela Marcone, figlia di Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, ucciso dalla mafia il 31 marzo del 1995. Referente per Libera Memoria in Puglia.

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