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Mafia e antimafia a scuola

di Gianni Bianco* il . Lazio

L’analisi// – “Si può sempre fare qualcosa” diceva Giovanni Falcone riferendosi alla lotta alla mafia. Un invito che riguarda tutti, ma che non dovrebbe lasciare insensibile la scuola italiana. A questo proposito mi torna in mente quanto detto settimane fa dal presidente della commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi su programmi scolastici e lotta alla criminalità organizzata. Si trovava a Foggia per commemorare Giovanni Pannunzio, ucciso nel 1992 per aver denunciato i suoi estorsori. Alla cerimonia erano presenti anche tre classi degli istituti superiori del capoluogo dauno e proprio pensando a loro la Bindi avanzò una proposta al governo. “C’è bisogno” diceva “di aprire le scuole allo studio del fenomeno mafioso. La storia non si ferma alla Seconda Guerra Mondiale. In oltre sessant’anni di Repubblica ne sono successe di cose e la mafia, purtroppo, ha avuto un ruolo di primo piano. Chi esce da scuola deve sapere in che paese vive”. Un appello che mi ha spinto a fare un sondaggio casereccio, un’indagine alla buona, senza alcuna pretesa scientifica. Nient’altro che un test mordi e fuggi per verificare se quanto denunciato dal numero uno della commissione Antimafia avesse fondamento. E così ho preso a sfogliare i libri utilizzati negli ultimi due anni dalla mia figlia più grande passata di recente dalle medie alle superiori. Un modo per verificare quanto spazio venga dato a questi temi sui testi adottati negli istituti, ma soprattutto per capire quanto questi temi siano studiati dai nostri ragazzi nel corso dell’anno. Anticipo subito che pur parziali e empirici, i risultati del mio sondaggio non sono granché confortanti. Perché poche sono le pagine dedicate a questi argomenti e per di più tutte intonse, mai sfogliate e senza tratti di penna o di matita che segnalino il passaggio, pur fugace e furtivo, di uno studente. Che fosse mia figlia, o lo studente che prima di venderglielo su quel libro aveva già studiato.

Nella mia analisi parto dalla terza media. Trovo traccia di lotta alla mafia sul libro di storia: 432 pagine ma solo 4 dedicate al tema, con una lettura ragionata di un brano di Enzo Biagi e due pagine dedicate a Falcone e Borsellino. Passando al testo di antologia, si parla di Cosa Nostra anche in 5 pagine su 740, con uno stralcio di un libro di Enrico Deaglio incentrato sul dialogo tra due giovani (uno mafioso, l’altro universitario) e un articolo di Gabriella Stramaccioni su Rita Atria.

Passando alle superiori la situazione non migliora. E’ sul libro di religione che mi imbatto in 4 pagine su 456 dedicate ala risposta della Chiesa alle mafie, dal silenzio al grido di dolore di Woytila. Ritrovo il tema anche sul libro di antologia, 3 pagine su 750 occupate da un estratto del discorso di don Luigi Ciotti a Contromafie 2009.

Tirate le somme e verificato che si viaggia al ritmo di una pagina ogni centocinquanta, ne ho chiesto allora conto a mia figlia: “Ma negli ultimi due anni avete mai studiato queste pagine?”.  “Mai”, è stata la risposta. “Però il prof di religione ci ha fatto vedere quest’anno La mafia uccide solo d’estate” ha aggiunto.

Ed ecco il punto. Accanto alla necessità di trovare nuove modalità e strumenti al passo con i tempi per arrivare ai ragazzi (come ha fatto benissimo e con grande intelligenza Pif) resta il fatto che studiare mafia e antimafia resta sempre più affare solo dei docenti più sensibili, quelli protagonisti di tanti bellissimi progetti, ma sempre pochi rispetto alla grande maggioranza che confina il tema in coda allo studio del Novecento, quello che appunto, se va bene, si ferma di solito al  1946.  In pratica i nostri figli rischiano di sapere molto di Badoglio, ma poco o nulla di don Pino Puglisi e Peppino Impastato, a meno che in cattedra non ci sia un professore particolarmente motivato sul fronte della legalità. Certo. Non è la quantità di pagine sui libri adottati ad assicurare la qualità delle lezioni impartite. Ma  probabilmente occorrono, come dice anche la Bindi, indicazioni più stringenti da parte del ministero dell’istruzione, programmi che tengano nel debito conto la necessità di affrontare questo tema cruciale nel corso degli anni di studi, senza abbandonarlo alla pur lodevole, iniziativa personale.

* Gianni Bianco, giornalista – Tg3

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