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Sequestro beni per 20 milioni di euro, colpito clan Messina Denaro

di Rino Giacalone il . Sicilia

di Rino Giacalone// – I più moderni circuiti imprenditoriali trapanesi in mano al clan del latitante Matteo Messina Denaro. Lavori edili in mezza Sicilia, industrializzazione di Castelvetrano, residence turistici da costruirsi per conto di Valtur. Questo emerge da un sequestro di beni per 20 milioni di euro messo a segno oggi da Gico della Guardia di Finanza, dai Ros dei Carabinieri. Indagini patrimoniali che si sono arricchite dalle risultanze investigative venbute dalla Squadra Mobile di Trapani. Otto i soggetti colpiti dal sequestro dei beni, provvedimenti emessi dai Tribunali delle misure di prevenzione di Palermo e Trapani. Personaggi già arrestati e in qualche caso già condannati, coinvolti nelle operazioni denominate Golem ed Eden. Sigilli a complessi aziendali, attività agricole e commerciali, terreni e fabbricati, autoveicoli, beni mobili strumentali e disponibilità finanziarieTra i beni sottoposti a sequestro si annoverano 3 società, 7 quote societarie e 4 ditte individuali, 12 autovetture, 4 veicoli industriali, 1 motociclo, 13 autocarri, 3 semirimorchi, 1 fabbricato industriale, 1 immobile a destinazione commerciale, 8 immobili ad uso abitativo, 29 terreni, 4 fabbricati rurali, polizze assicurative, titoli azionari, rapporti bancari, depositi a risparmio. La ricostruzione patrimoniale ha permesso di definire le infiltrazioni di “Cosa Nostra” targata Matteo Messina Denaro negli affari di diverse società ed attività agricole e commerciali, dislocate in diverse province della Sicilia e del Sud Italia. Ma anche episodi in apparenza insignificanti come l’apertura di un supermercato a Campobello di Mazara: “…è con la testa dell’acqua che dobbiamo andare a parlare”. La testa dell’acqua non è altro che Matteo Messina Denaro. “Nel trapanese – dicono gli investigatori del Gico e dei Ros – l’azione condotta da molti indagati non è stata solo finalizzata nell’azione di supporto alla latitanza del boss trapanese, ma per controllare anche un vero e proprio circuito imprenditoriale nel settore dell’edilizia e del relativo indotto, mediante la gestione e la spartizione di importanti commesse, nel settore delle energie alternative, eolico e fotovoltaico, nel settore della ricettività turistica”. E’ così potuto accadere che il gestore di un bar, come Giovanni Filardo (3 milioni 400 mila il sequestro), cugino di Matteo Messina Denaro, si è scoperto essere il controllore di numerose imprese edili. Non meno rilevante quello che la Squadra Mobile ha scoperto esistere attorno alla Spefra costruzioni di Francesco Spezia (circa 2 milioni 200 mila il valore dei beni sequestrati), uno che andava in giro presentando a tutti come proprio consigliere un imprenditore trapanese, Michele Mazzara che nel frattempo era stato già condannato per essere uno dei favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Cosa nostra in questo territorio – dice il capo della Mobile di Trapani Giovanni Leuci – è stata da sempre connotata da una spiccata propensione imprenditoriale attuata mediante grandi investimenti di capitali illeciti in settori nevralgici per l’economia della provincia (agricoltura, turismo, edilizia e da ultimo business delle energie rinnovabili). Tale strategia criminale ha consentito alla compagine mafiosa da un lato di accumulare e ripulire imponenti capitali e dall’altro di garantirsi un largo “consenso sociale” ponendosi spesso in contrapposizione con istituzioni ed imprenditoria incapaci di rilanciare l’economia e quindi di creare posti di lavoro”. Sequestro di beni è scattato anche per Mario Messina Denaro (oltre 8 milioni il valore del sequestro), cugino pure lui del latitante, autore di quel tentativo di estorsione ai danni dell’imprenditrice Elena Ferraro che andò a denunciare subito ogni cosa. “Mario Messina Denaro e Giovanni Filardo – sottolinea il capo della Mobile Leuci – sono direttamente riconducibili al latitante Matteo Messina Denaro, stessa riconducibilità per gli altri imprenditori colpiti dal sequestro, loro comune denominatore l’appartenenza alla consorteria di Campobello di Mazara, storico feudo del latitante”. Beni sequestrati anche a Vincenzo Torino (1 milione 800 mila) e Tonino Di Stefano (550 mila), prestanomi dell’oleificio Fontane d’oro, nonché Antonino Lo Sciuto (250 mila). L’azione criminale di quest’ultimo, condotta concordata con i Messina Denaro direttamente e con Francesco Guttadauro, nipote del latitante e figlio del famigerato mafioso palermitano Filippo, avrebbe permesso a Cosa nostra di inserirsi nello sviluppo imprenditoriale di Castelvetrano, per il completamento del cosidetto “Polo Tecnologico” e per la realizzazione di un impianto eolico “Vento Divino” nella zona di Mazara. Per quest’ultimo caso, i Gico e Ros hanno fatto emergere una serie di “accordi spartitori” all’interno della cosca mafiosa belicina. La mafia a tavolino ha elaborato strategie finalizzate ad aggirare i “protocolli di legalità” che erano stati sottoscritti in prefettura dall’impresa esecutrice, “Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative Srl”. Addirittura in una intercettazione si sono sentiti parlare la sorella del latitante, Patrizia Messina Denaro, che viene soprannominata “a curta”, e una zia di questa, Rosa Santangelo, mamma di Giovanni Filardo. Le due donne convenivano che erano iniqui gli utili d’impresa rispetto all’esigenza vera, fare arrivare soldi a Matteo Messina Denaro: “chiddru avi a camminnare!… Vannè,chiddru vola!! E… senza soldi un povulare!! Lo hai capito?“E’ stata eccezionale ancora una volta l’azione sinergica delle forze di Polizia e della magistratura inquirente nel contrasto alle infiltrazioni mafiose nell’economia trapanese. L’azione repressiva classica fatta di arresti, per essere davvero efficace deve essere costantemente affiancata da severe verifiche delle infiltrazioni di capitali e soggetti mafiosi nei settori produttivi. Facciamo “terra bruciata” intorno al Messina Denaro, anche con l’aggressione ai capitali ed alle aziende a lui ed ai suoi sodali riferibili”. Altri soggetti destinatari del sequestro sono stati  Nicolò Polizzi (3 milioni 400 mila) uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, referente nella gestione di alcune operazioni per far nascere nel Belice in località Tre Fontane a Campobello di Mazara,di una struttura ricettiva che avrebbe dovutoi far parte della catena Valtur allora appartenente al cavaliere del lavoro Carmelo Patti. Altro soggetto raggiunto dal sequestro Girolamo Cangialosi (circa 780 mila euro). Per gli investigatori però oggi questo ennesimo colpo inferto all’economia criminale mafiosa segna la debolezza dell’organizzazione a continuare a segnare il territorio: “Questo triste trend, complice la stringente azione inquirente, ed un rinnovato spirito legalitario cresciuto nelle componenti sane dell’imprenditoria provinciale è in netto calo ed il segnale che si vuole dare con i sequestri odierni è che chiunque decida di fare affari con la mafia si vedrà prima o poi beni ed aziende sequestrati. Insomma la legalitá conviene” conclude il capo della Mobile Giovanni Leuci. 

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