Mafia, appalti e politica a Roma
(ALL’INTERNO GLI APPROFONDIMENTI SULL’INCHIESTA) – Usura, estorsioni, appalti, corruzione e associazione mafiosa. Queste le accuse per i 37 arrestati dell’operazione “Mondo di mezzo” messa a segno dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. Un centinaio gli indagati e sequestri di beni per un valore di 200 milioni di euro. In manette, fra gli altri, anche “l’ultimo Re di Roma”, Massimo Carminati. “E’ a tutti gli effetti di una organizzazione criminale mafiosa” – ha dichiarato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone oggi in conferenza stampa – la “Mafia Capitale”.
MAFIA CAPITALE – di Santo Della Volpe
Si tratta di un sistema criminale fondato e diretto da Carminati, ex terrorista dei Nar e già membro della Banda della Magliana che, secondo gli investigatori, ”impartiva le direttive agli altri partecipi […] manteneva i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali, con pezzi della politica e del mondo istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti’’. “Mafia Capitale” – spiega il procuratore capo di Roma – è una organizzazione che presenta i tratti di “originalità” e di “originarietà”, ovvero nasce e si sviluppa qui a Roma e ha le caratteristiche dell’associazione mafiosa, in particolare attraverso l’esercizio del “metodo mafioso”. L’uso dell’intimidazione e il ricorso alla violenza, legata al vincolo associativo. Un’operazione senza precedenti, quella coordinata dai procuratori Michele Prestipino, Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini, sotto la supervisione del procuratore capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone, che ha smantellato un’organizzazione che affonda le radici in oltre dieci anni di storia criminale romana. Tra gli arrestati, oltre a Massimo Carminati, anche altri nomi di spicco come l’ex ad dell’Ente EUR, Riccardo Mancini e l’ex presidente di Ama, Franco Panzironi: per i pm romani “pubblici ufficiali a libro paga che forniscono all’organizzazione uno stabile contributo per l’aggiudicazione degli appalti”. E Luca Odevaine, ex capo di gabinetto della giunta Veltroni e ora direttore extradipartimentale di polizia e Protezione civile della Provincia di Roma.
L’elenco degli indagati e degli arrestati
Video della conferenza stampa
L’inchiesta. Intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti, indagini a tappeto su gare di appalti e aziende, atti amministrativi e bilanci di fondazioni messi al setaccio. Queste le basi dell’inchiesta “molto impegnativa e faticosa” durata due anni e che portato alla luce gli affari di un gruppo criminale che agiva nel “Mondo di mezzo” come lo definisce in una conversazione intercettata dalle microspie dei Ros, lo stesso Massimo Carminati: “È la teoria del mondo di mezzo compà. …. ci stanno . . . come si dice . . . i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo … e allora …. e allora vuol dire che ci sta un mondo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano… come è possibile… che ne so… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi”. Un luogo che mette in comunicazione, che accorcia le distanze, che crea commistione e contaminazione fra affari criminali e affari legali. Una mafia che “non ha struttura rigida” – ha spiegato il capo della procura di Roma, Pignatone – non ha territorio specifico ma rientra pienamente nella fattispecie del 416 bis perché si avvale del metodo mafioso legato al vincolo associativo. Ai vertici dell’organizzazione il capo indiscusso Massimo Carminati che – afferma Pignatone “sfrutta suo calibro storico criminale e la sua capacità di ricorrere ancora oggi alla violenza, all’assoggettamento, imponendo omertà”. Un metodo descritto in alcuni passaggi delle intercettazioni dei Ros, contenuti nell’ordinanza di oltre 1000 pagine curata dalla Dda di Roma. Rivolgendosi ad un imprenditore restio a piegarsi al volere dell’organizzazione Carminati, ad esempio, spiega: “devi adeguarti perché tanto sulla strada c’avrai sempre bisogno di noi”. E viceversa in un’altra intercettazione un imprenditore che ha già ceduto al “patto” con l’organizzazione mafiosa evidenzia i vantaggi che derivano dalla copertura di “Mafia capitale” “sono diventato un intoccabile- spiega al telefono. Basta fare sapere in giro che sto con il cecato”. “Il cecato” è il soprannome con cui è conosciuto a Roma Massimo Carminati, per via di un incidente avvenuto negli anni ’80, nella sua precedente “carriera criminale”.
Un ritratto di Massimo Carminati – di redazione
L’altra faccia del Coppolone – di Norma Ferrara
Nell’indagine, inoltre, emerge chiaramente la triangolazione stabile che l’organizzazione mette in campo con il mondo dell’imprenditoria e con la pubblica amministrazione. In particolar modo l’amministrazione capitolina, sotto la guida dell’ex sindaco Alemanno, che risulta fra gli indagati nell’inchiesta. Spiega il procuratore Pignatone: “nel gestire queste relazioni l’organizzazione utilizza ora la minaccia ora la corruzione, preferendo quest’ultima alla prima poiché si desta meno allarme nelle autorità e si richiama meno l’attenzione delle forze dell’ordine”. Sinergie che – come spiegano i magistrati hanno la caratteristica della “trasversalità”. Nella stessa indagine, infatti, gli investigatori ritrovano personaggi del calibro di Massimo Carminati, con un passato nel terrorismo di matrice nera e Salvatore Buzzi, con un passato dell’opposto colore politico, uomo a capo di una rete di coop riconducibili al gruppo Eriches-29 giugno, affidatarie di appalti da parte di Eur Spa. In una conversazione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare Buzzi spiega, in una battuta, perché dopo tanti anni si trova anni dopo dall’altra parte della barricata: “la politica è una cosa, gli affari so affari” – dice. Una trasversalità in linea con le scelte di “Mafia Capitale”. Le indagini oggetto dell’operazione “Mondo di mezzo” riguardano, infatti, appalti e turbative d’asta sotto l’amministrazione di Gianni Alemanno ma nelle conversazioni fra gli associati del sodalizio criminale si percepisce “la tranquillità” dell’organizzazione anche rispetto al futuro cambio di maggioranza alla guida del Comune. Carminati e i suoi lasciano intendere che “hanno amici ovunque” e che loro devono sol “vendere bene il prodotto”. Sono affari, insomma. E gli affari non hanno colore politico.
“Mafia capitale” e il ruolo degli imprenditori. Terreni privilegiati dell’associazione sono proprio quelli del mondo economico, degli affari e del rapporto con le pubbliche amministrazioni. E’ il procuratore aggiunto Michele Prestipino a spiegare questo legame fra l’associazione “Mafia capitale” e il mondo imprenditoriale. E la struttura organizzativa premette all’organizzazione di permeare le aziende collegate alla pubblica amministrazione, come le municipalizzate. Gli associati usano, in sostanza, il mondo imprenditoriale come “un cavallo di troia” che permette loro di entrare silenti nella pancia della città, lì dove si decidono gli appalti, si ottengono i lavori e si entra in contatto con le “persone che contano” e che possono essere utili per fare affari su affari e intensificare il potere dell’associazione. “Sul ramo criminale non c’è molto da dire – spiega Prestipino – le attività sono quelle più tradizionali, quelle più classiche, in riferimento ad una città come Roma. Ci sono estorsioni e sono collegate ad un fenomeno, come quello dell’usura, che mira ad acquisire il controllo diretto delle attività. Numerosi sono gli imprenditori intercettati nell’ordinanza mentre raccontano delle pressioni, delle violenze e delle minacce che l’organizzazione mette in campo per condizionarne l’operato e entrare direttamente in affari con loro”. “Le indagini – spiega ancora Prestipino – sono una fotografia preoccupante di questo sistema”. Il meccanismo è simile, in origine, a quello delle mafie tradizionali: un imprenditore chiede protezione all’associazione criminale, loro gliela offrono ma in cambio non chiedono soldi, spesso chiedono di entrare in affari, chiedono una copertura, chiedono loro di fare da quel momento da punto di riferimento per la realizzazione dei propri interessi economici e criminali”. In un passaggio delle intercettazioni è proprio Carminati a spiegare ad un imprenditore: “a me puoi anche dire che mi dai un milione di euro nun me interessa a me interessa che dall’amicizia deve nascere un discorso che facciamo affari insieme, devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi”. Il vero obiettivo dell’organizzazione, come dichiarano i magistrati, è avere il pieno controllo di un numero sempre crescente di attività economiche che, in una città come Roma, significa principalmente vincere gli appalti con pubbliche amministrazioni, per lavori e servizi. E qui – spiega Prestipino “c’è un altro strumento che l’organizzazione predispone in maniera abile: si tratta di una continua attività illecità di lobby che ha come obiettivo le nomine ai vertici delle municipalizzate di loro uomini”. Prestipino fa esplicito riferimento, come contenuto nell’ordinanza, al caso dell’AMA Spa e a tre grossi appalti sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori che ammontano a centinaia di milioni di euro. In sostanza, conclude Prestipino, c’era un “patto corruttivo” fra “Mafia capitale” e gli imprenditori che rendeva solido e organico questo rapporto di assegnazione di appalti ad imprese amiche. Un patto che aveva un costo che le indagini stimano in 15 mila euro mensili, per somme che arrivavano a migliaia di euro, somme versate a enti, fondazioni collegati a politici locali. Un patto trasversale che rendeva particolarmente coeso il sistema, che aveva contatti “con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operanti su Roma, nonché esponenti del mondo politico istitutzionale, con esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi” . Un sistema quasi perfetto, sino ad oggi impermeabile ai diversi tentativi investigativi che si erano spesso dovuti fermati in una fase iniziale e sono confluiti nell’inchiesta che da ieri sta facendo tremare i polsi a politici e imprenditori della Capitale.
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