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A Foggia fiori contro il racket

di Gianni Bianco il . Puglia

C’è, ma non si vede. O meglio. Taglieggia e minaccia, ma il resto d’Italia fatica a vederla. Perchè invece chi vive a Foggia, della presenza della “Società” – la mafia locale – ben difficilmente può dire di non essersene mai accorto. Soprattuto negli ultimi tempi, visto che in soli cinque giorni sono saltati con l’esplosivo tre esercizi commerciali. Bombe che hanno fatto salire l’allarme e spinto il primo cittadino a parlare del capoluogo dauno come di una “emergenza nazionale” al punto da diventare oggetto di un vertice al Viminale con il Ministro dell’Interno, un sottosegretario, il Capo della Polizia e poi Prefetto, Questore e sindaco della città. Istituzioni tutte presenti, lì dove invece sembrava brillare per assenza la grande stampa, storicamente non troppo interessata al caso Foggia, da anni in cima ai pensieri della Direzione Nazionale Antimafia, ma spesso relegato nelle cinque righe di brevi in cronaca. Una criminalità organizzata quella foggiana, nata negli anni Ottanta, allevata in culla da camorra e ‘ndrangheta, e il cui “core business” è sempre stato il pizzo. Anche nell’ultima statistica sulla qualità della vita nelle città italiane del Sole 24 Ore, il centro della Capitanata è finito in fondo, 105esimo, terz’ultimo in Italia, con sei posizioni perse in un anno.

Piazzamento poco lusinghiero, frutto anche delle poco invidiabili posizioni in altre due classifiche. Da anni in testa per il numero di estorsioni subite, in coda invece in quella delle denunce presentate al punto che il vecchio detto “Fuggi da Foggia”, rischia di diventare la tentazione di molti imprenditori e commercianti. Si paga ma non si dice (men che meno alle forze dell’ordine), al punto che ci sono voluti più di ventidue anni per veder nascere un’associazione antiracket intitolata alla memoria di Giovanni Panunzio, imprenditore edile ucciso a Foggia proprio per aver denunciato i suoi taglieggiatori. L’ha fortemente voluta Tano Grasso, coinvinto che nel Tavoliere della Puglia si stia combattendo una battaglia cruciale per la libertà nel nostro Paese. A presiederla c’è oggi una solare ragazza trentenne che quasi per caso si è ritrovata nella prima linea antimafia. Si chiama Cristina e di mestiere organizza matrimoni. “Sono una wedding planner, sto insieme alla gente nei momenti belli” dice con un grande sorriso che non la abbandona mai, neanche nei momenti in cui racconta come abbia avuto inizio questa sua spiacevole avventura. “Avevo da poco iniziato la mia attività e subito mi hanno telefonato chiedendomi duemila euro sennò mi avrebbero fatto saltare per aria il negozio. Pensavo ad uno scherzo. Poi invece le minacce sono proseguite e io lì per lì non ci ho pensato un attimo. Volevo sapere chi si fosse permesso di rovinarmi la vita, e così sono andato a denunciare tutto ai Carabinieri”. Adesso sono una ventina gli associati e altri potrebbero aggiungersi visto che i recenti arresti di quattro estorsori del clan Moretti-Pellegrino-Lanza sono arrivati grazie alle denunce di tre imprenditori che non si conoscevano ma che distintamente hanno scelto di presentarsi davanti alle forze dell’ordine piuttosto che al cospetto dei clan. “O ci denunci, o paghi. Ma se ci denunci paghi tu lo stesso” intimavano quelli, ma i minacciati hanno avuto molto più coraggio. E così i tre attentati dinamitardi degli ultimi giorni, vogliono forse dire anche questo. Sono probabilmente il segnale della rabbia di gruppi disarticolati, con i vertici tutti in carcere e le seconde linee a tentare di riaffermare il controllo su un territorio che sentono meno solido di un tempo, grazie ali successi conseguiti sul campo da magistrati, istituzioni e uomini in divisa, ma grazie anche ai primi timidi segnali di risveglio della società civile. Proprio Cristina mi racconta un piccolo episodio.

Dopo le bombe, per iniziativa di Libera – guidata nel Foggiano da un’altra giovane donna tenace e con una storia di riscatto alle spalle come Daniela Marcone –  si è deciso di far trovare al mattino, prima dell’apertura, una piantina davanti alle saracinesche dei tanti negozi del centro. “Volevamo rispondere alle esplosioni con i fiori”, dice Cristina che con la sua associazione antiracket ha sposato subito l’iniziativa, mostrando quanto fecondo possa essere in questi territori, il lavorare insieme, sostenendosi a vicenda. E ascoltandola ho pensato che forse solo a due donne, Daniela e Cristina, poteva venire in mente di contrapporre i ciclamini alle bombe. Se poi si considera che c’è una terza donna che a Foggia sta sostenendo con forza il cambiamento (il prefetto Luisa Latella) si intuisce che anche qui, come già in altre zone ad alta presenza mafiosa, potrebbe essere proprio l’impegno delle donne ad annunciare l’arrivo di una nuova stagione di legalità, meno intossicata dalle mafie. Non da sole, ma con un mondo attorno. Perchè anche a Foggia a far primavera non dovrà essere una sola rondine, ma il volo di un intero stormo.

* Gianni Bianco, giornalista del Tg3

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