Strage Rapido 904, dalle inchieste al processo di Firenze
Libera ammessa come parte civile nel procedimento// L’approfondimento// – E’ il giorno che precede la vigilia di Natale, il 23 dicembre del 1984 e sul Rapido 904 delle 12.55 partito da Napoli e diretto a Milano in tanti sono in viaggio per trascorrere le feste natalizie con i parenti. Nasi arrossati dal freddo, bambini che giocano nei corridoi delle carrozze, valigie piene di regali. Tutto si ferma, nel tempo sospeso della memoria dei sopravvissuti, alle 19.08 quando nella carrozza centrale del treno si fa strada una palla di fuoco, i finestrini si frantumano colpendo in volto i passeggeri, nelle orecchie il rumore delle rotaie lascia il posto al suono di una violenta esplosione, azionata da una carica di esplosivo radiocomandata (collocata durante la sosta alla stazione di Firenze Santa Maria Novella). Poi il silenzio, rotto qualche minuto dopo dalle urla, dalla disperazione e dal lamento dei feriti. E’ la strage di Natale, quella del Rapido 904. Dopo anni di indagini e processi il boss di Cosa nostra, Totò Riina, è chiamato a rispondere di questa strage. L’accusa è di essere il mandante dell’attentato in cui persero la vita 17 persone e 267 rimasero ferite.
Dalla “strategia della tensione” ai boss della mafia. Le prime indagini della magistratura guardano nella direzione della pista politica, un attentato terroristico nell’ambito di quella che viene definita “la strategia della tensione”: le istituzioni sono attraversate da uno scontro in atto fra diversi poteri, si tratta di un conflitto gestito a colpi di bombe, sangue di innocenti, terrore, rivendicazioni politiche di movimenti eversivi e depistaggi. E’ in questo contesto che si verifica la strage del Rapido 904, un attentato realizzato, secondo i magistrati, da personaggi appartenenti ai movimenti politici di estrema destra, boss della camorra e uomini di Cosa nostra.
L’inchiesta. Pochi anni dopo la strage, durante la perquisizione nell’appartamento di Guido Cercola, braccio destro e factotum del boss Pippo Calò, gli inquirenti trovano un primo indizio che collega la mafia alla Strage del Rapido 904. In questo blitz vengono sequestrate alcune carte che portano dritte a Calò, “cassiere di Cosa nostra” a Roma e fra gli imputati del Maxi processo. L’allora pm Pier Luigi Vigna chiede il rinvio a giudizio per 7 persone per i reati di attentato per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, fabbricazione, detenzione e porto di esplosivi. L’ipotesi su cui si basano i mandati di cattura è proprio quella di un legame organico tra mafia e camorra e altri personaggi e poteri come quello della destra eversiva e della Banda della Magliana. Una convergenza di interessi fra diversi pezzi di poteri criminali che avrebbe portato alla Strage. Il 25 febbraio 1989 vengono condannati all’ergastolo per attentato con finalità terroristica ed eversiva, banda armata, fabbricazione e detenzione e porto di ordigno esplosivo, Pippo Calò, Guido Cercola, Giuseppe Misso, Alfonso Galeota e Giulio Pirozzi. Franco Di Agostino e Friedrich Schaudinn, invece, saranno condannati per gli stessi anni ma con attenuanti. La strage, secondo il magistrato Armando Sechi aveva “molteplici finalità”: indebolire il sistema democratico del nostro Stato; distogliere con false emergenze l’impegno civile politico e giudiziario e determinare, dunque, quella situazione di incertezza e disorientamento dei pubblici poteri e di sfiducia in questi da parte dei cittadini che sono i presupposti indispensabili per la crescita ed il consolidamento del proprio potere (mafioso).
L’Appello e il nuovo processo contro Totò Riina. Il 5 marzo 1991, la I sezione della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, detto “l’ammazza-sentenze”, respinge i ricorsi di pm e parti civili e accoglie quelli degli imputati, annullando la sentenza di II grado nei confronti di Misso, Galeota e Pirozzi per le accuse relative al reato di detenzione e porto d’esplosivo e nei confronti di Calò, Cercola, Di Agostino e Schaudinn per i reati di banda armata, strage, attentato terroristico eversivo, rinviando il giudizio ad un’altra sezione della Corte d’Assise d’’Appello di Firenze. Poi, negli ultimi anni, il dietro-front. Nuove indagini che partono dalla procura di Napoli e passano successivamente alla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, chiamano in causa il boss Totò Riina. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, fra cui Giovanni Brusca, il movente di questa strage è legato alle dinamiche di Cosa nostra e i magistrati di Firenze scrivono che Riina è da considerare il mandante «nella qualità di capo indiscusso» di Cosa Nostra. La strage sarebbe stata programmata e decisa dal capo dei Capi «con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici) appartenente all’organizzazione criminale e poi utilizzato in parte anche nelle stragi di Capaci e via d’Amelio». Le ragioni dell’attentato, dunque, sarebbero da rintracciarsi in una reazione di Cosa nostra alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Tommaso Buscetta e l’avvio del Maxi processo, nel tentativo di deviare l’attenzione dello Stato dalla mafia su fatti di natura terroristico-politica.
Libera parte civile nel processo. Durante la prima udienza, il 25 novembre scorso, presso la Corte d’assise di Firenze l’associazione “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” è stata ammessa come parte civile nel processo. Nell’atto di costituzione di parte civile l’avvocato Enza Rando ricostruisce il contesto storico-politico in cui maturò la strage, il complesso percorso seguito dalle indagini e i molteplici fatti terroristici e mafiosi che si verificarono in quegli anni. Il legale dell’associazione Libera spiega e motiva, in una documentata analisi, le ragioni che hanno portato la rete di associazioni alla richiesta di costituzione parte civile nel procedimento. In un passaggio del documento si legge: “In questo panorama la strategia della tensione e la violenza mafiosa stragista è diventata lo strumento per rafforzare il dominio mafioso – terroristico sul territorio, oltre a rappresentare una delle strategie più insidiose di lesione dei diritti fondamentali dei cittadini. In queste circostanze la partecipazione nel processo penale di un ente esponenziale che per statuto elabora strategie di lotta al dominio mafioso a fianco delle vittime, assume ancora maggiore rilevanza. La voce di chi non può averla perché terrorizzato di essere esposto in solitudine alle rivendicazioni dei clan si immedesima in quella di un’organizzazione che da anni opera attivamente sul territorio. Ed è nell’attacco diretto ai fini statutari e nella limitazione dell’efficacia dell’azione sul territorio che si concretizza il danno non patrimoniale subito dall’Associazione che oggi si costituisce parte civile”.
Il boss Riina chiama a deporre due uomini dell’intelligence. Nella stessa udienza sono state ammesse le testimonianze del sottosegretario con delega all’intelligence, Marco Minniti e del direttore del Dis, Giampiero Massolo. La richiesta è stata avanzata dai legali del boss Totò Riina per “avere informazioni sulla desecretazione degli atti relativi alla strage del Rapido 904”. Il presidente della corte Ettore Nicotra ha accolto le richieste della difesa di Riina perchè “non può ritenersi l’assoluta irrilevanza” delle testimonianze di Minniti e Massolo. I giudici hanno comunque spiegato che delimiteranno il tema delle due testimonianze per garantire “la pertinenza dell’esame ai fatti oggetto del processo”. Proprio il sottosegretario Minniti alcuni mesi fa a Riccione, durante l’appuntamento annuale organizzato dal Premio Ilaria Alpi, si è espresso sulla desecretazione che riguarda le stragi avvenute in Italia dal 1969 all’84, “un archivio di circa 70 metri” – l’ha definito. Su questi atti, negli anni, non è stato apposto il segreto di Stato perché è vietato per i procedimenti legati al reato di Strage. Minniti ha spiegato “stiamo incominciando a riversare i documenti nell’archivio di Stato, i primi arriveranno ad essere consultabili nel mese di novembre, pensiamo di terminare tutto entro giugno prossimo”. Poi ha precisato che si tratterà di una declassificazione con riserva: “Non possiamo rendere noti documenti trasferiti dall’estero o che citano rapporti di servizi segreti di altri Paesi, senza il loro consenso”. Parimenti verranno “omissati” nei documenti i passaggi che faranno riferimento “a persone citate che siano ancora in vita”. Una scelta legata alle leggi vigenti in materia di privacy e legata ai diritti del cittadino – ha precisato il sottosegretario. Si tratta di un passo importante per la “costruzione di una memoria storica condivisa” ha chiosato, sebbene in sostanza, la discovery così limitata potrebbe rivelarsi. Eppure, anche il capo dei capi, attraverso i suoi legali, è interessato alla desecretazione di questi atti. E – caso insolito nella storia della nostra Repubblica – in aula per saperne di più ha chiamato a deporre due uomini dell’intelligence in un processo in cui è imputato come mandante di una Strage.
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