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Più cultura contro il “modello Lazio” delle mafie. Dal 26 al 29 novembre, il primo Meeting regionale per la legalità

di no.fe. il . Lazio

Dieci miliardi di euro di operazioni finanziarie sospette, 81 consorterie criminali che operano nel Lazio. Negli ultimi due anni, 1500 beni sottratti ai boss nella regione, di cui 300 sono aziende. Questi alcuni dei numeri che il presidente dell’Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio, Gianpiero Cioffredi, metterà sul tavolo del dibattito pubblico, davanti a studenti, cittadini, politici, giornalisti, attivisti del sociale, nella quattro giorni del Meeting regionale antimafia del Lazio che si terrà a  Roma dal oggi sino al 29  novembre  (clicca qui per scaricare il programma integrale). Con Gianpiero Cioffredi  il punto sull’avanzata dei boss nella regione e sugli strumenti di contrasto ai clan in cantiere da parte delle istituzioni.

Un Meeting regionale antimafia nel Lazio: qual è obiettivo concreto di  questa quattro giorni che si apre oggi?

L’obiettivo della manifestazione è principalmente uno: costruire intorno al contrasto alle mafie nella regione un movimento di cittadini, istituzioni, parti sociali che rafforzi gli strumenti  e le attività quotidiane di contrasto contro il crimine organizzato, le numerose consorterie mafiose che attraversano la regione.  

Per anni il “fronte del negazionismo” non ha permesso di conoscere e indagare il fenomeno mafioso in regione: qual è la situazione oggi sotto il profilo criminale?

Sono tanti i fattori che descrivono questo fenomeno in avanzata nella regione. Su tutti, alcuni dati: “l’indice di mafiosità” colloca il Lazio al quinto posto per la presenza criminale mafiosa. Un dato cui fa il palio un altro indicatore della Banca d’Italia.  Secondo l’Uif, nel Lazio si sono registrate 9.188 operazioni finanziare sospette, ovvero il 14% del totale complessivo delle segnalazioni. Numeri che portano il Lazio ai primi posti in Italia, secondo solo alla Lombardia. Questo vuol dire, ad esempio, che circa 10 miliardi di euro girano nella regione e, attualmente, non sappiamo in mano a chi sono. Questi e altri numeri e –  i risultati di indagini e processi  – ci consegnano un quadro allarmante per quel che riguarda il riciclaggio di denaro, come dimostrano anche i 1500 beni sequestrati ai boss nel Lazio negli ultimi due anni, di cui 300 sono aziende.  Secondo le stime sono presenti, inoltre, 81 consorterie criminali che si muovono secondo quello che possiamo definire  il “modello Lazio delle mafie”: affari fra diversi clan, interazione  con la criminalità autoctona, come i  Casamonica, i Fasciani, e pezzi dell’ex Banda della Magliana e con pezzi del mondo politico e dell’economia. Oltre mille gli indagati fra il 2012 e il 2013 dalla Direzione distrettuale antimafia. Contro questo “sistema” criminale vogliamo rafforzare il modello di contrasto e mettere in campo una risposta politica strutturata.

 

Un mondo della politica che non è stato immune da infiltrazioni mafiose, soprattutto nel sud del Lazio…

In questi anni c’è stata una sottovalutazione del fenomeno mafioso, se non una vera e propria rimozione del problema. Problema che è presente da decenni nella regione, e soprattutto nel sud Pontino. Poi, sono arrivati dei procedimenti giudiziari che hanno messo il mondo politico davanti ad alcune evidenze. Fra i tanti cito il processo scaturito dall’operazione “Nuova Alba” a Ostia, che ha alla base anche reati per 416 bis. Di fronte a questi ed altri fattori che raccontano della presenza delle mafie sul nostro territorio, per fortuna,  l’atteggiamento della politica sta gradualmente cambiando. Noi puntiamo su una presa di consapevolezza definitiva rispetto alla presenza e alla gravità del fenomeno mafioso nella regione. Miriamo ad intensificare una alleanza per la legalità, a farne principio etico di coscienza civile funzionale anche e soprattutto all’ottica dello sviluppo economico e sociale del territorio.  La storia delle mafie ci dice che dove ci sono i clan si impoveriscono i territori, il capitale umano si indebolisce e si perde, infine, sul terreno delle sfide globali, quindi in termini di competitività. Ovvero, fra le altre cose, il credito alle imprese  costa di più e vengono meno gli investimenti stranieri. E’ soprattutto su questo aspetto dello sviluppo socio-economico che abbiamo scelto di concentrare la  che attraverserà la quattro giorni del Forum regionale che si apre oggi.

 

Al silenzio della politica, in questi anni, si è aggiunto quello degli operatori economici.  C’è un dialogo con le categorie di settore?

Ci son passi avanti in questa direzione. Proprio nell’ultima giornata del Meeting stringeremo un accordo – un “patto di legalità” l’abbiamo chiamato –  con alcune categorie del mondo imprenditoriale ed economico che hanno risposto alla nostra chiamata, cito Unindustria, Cna, FederLazio, Confcommercio. Seguendo l’andamento nazionale già tracciato: chi è complice vada fuori dalle categorie di settore. Alle mafie che si sono fatte “sistema” si reagisce, insomma, mettendo in campo un sistema virtuoso di alleanze per lo sviluppo.

Fra le risorse che potrebbero portare benefici alla collettività ci sono anche i beni confiscati ai boss. Quali progetti ha in cantiere la Regione su questo tema?

La Regione ha firmato un protocollo di intesa con il Tribunale di Roma, Libera e altre associazioni proprio per far diventare i beni confiscati volano di sviluppo del nostro territorio. Inoltre, stiamo costruendo  un ufficio speciale dedicato proprio ai beni confiscati ai boss. Stiamo provando, se il bilancio economico lo consentirà, a ragionare su un fondo dedicato al riutilizzo sociale di questi beni e ad indirizzare la programmazione europea dei prossimi anni in questo settore.

Negli ultimi tempi, nel mirino, anche i giornalisti che hanno raccontanto di questa avanzata criminale  nel Lazio. A chi hanno dato fastidio le cronache di cronisti come Lirio Abbate e Federica Angeli?

In questi anni di silenzio assoluto su questo tema, va detto, abbiamo avuto  validi giornalisti locali, nel sud Pontino, e in giornali nazionali come Repubblica e L’Espresso che invece hanno squarciato il velo del silenzio con i loro articoli, le loro inchieste, le loro analisi. Siamo preoccupati per le minacce arrivate ai  giornalisti, chiaramente. Queste intimidazioni ci dicono però anche qualcosa in più:  le loro cronache hanno toccato alcuni nervi scoperti del sistema criminale del Lazio. In particolare, il rapporto fra i boss e pezzi di movimenti politici che operano sul territorio. Le loro inchieste hanno consentito, insieme alle indagini della magistratura, di fare un salto di qualità nell’analisi di questo sistema criminale e ci restituiscono il puzzle di relazioni e rapporti fra mafia e pezzi di movimenti, sin ora poco raccontato.

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