Strage di Capaci, ergastolo per i boss che fornirono esplosivo
Alla storia giudiziaria dell’attentato di Capaci si aggiunge oggi un altro tassello. Il giudice per l’udienza preliminare di Caltanissetta, Davide Salvucci, ha condannato all’ergastolo per la strage di Capaci, i boss Giuseppe Barranca e Cristofaro Cannella. A 30 anni Cosimo D’Amato e a 12 il collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza. L’accusa per loro è di aver avuto un ruolo nella preparazione dell’attentatuni – come lo chiamarono i boss – in cui il 23 maggio del 1992 morirono il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro.
Le dichiarazioni di Spatuzza riaprono inchiesta. Per la strage di Capaci, in questi anni, erano stati già condannati, tra mandanti e esecutori, 37 persone. Nell’estate del 2008 però le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, aggiungo nuovi elementi relativi alla fase preparatoria della strage di Capaci, consegnando un ruolo operativo anche ai boss del mandamento di Brancaccio. Il collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni ha riscritto le fasi operative della strage di Via d’Amelio e contribuito a svelare depistaggi, misteri e false verità intorno al biennio stragista, mette nero su bianco nei verbali del 3 luglio del 2008 le responsabilità di alcuni uomini di Cosa nostra, sino ad allora non coinvolti nelle indagini su Capaci. E spiega come andarono le cose nelle settimane che precedettero l’attentato contro il giudice Falcone.
Recuperato in mare l’esplosivo per l’attentato a Capaci. “Mi contatta Fifetto (Cristofaro, ndr) Cannella che dovevamo fare una operazione il pomeriggio…. quindi nell’occasione mi dice di procurare una macchina voluminosa perché dovevamo caricare delle cose quindi… ci voleva una macchina più grande”. Così Gaspare Spatuzza racconta ai magistrati i primi preparativi per l’attentato di Capaci, svelando particolari importanti sul recupero dell’esplosivo che venne aggiunto al tritolo recuperato dai boss di Cosa nostra, come spiegato in questi anni dal collaboratore di giustizia, Giovanni Brusca. Gli uomini del mandamento di Brancaccio prenderanno dai fondali marini di Porticello le bombe inesplose della seconda guerra mondiale, da cui verrà estratto una parte dell’esplosivo che farà saltare in aria l’auto del giudice Falcone. “Siamo arrivati noi a Porticello … abbiamo trovato lì un ragazzo un certo Cosimo... circa 30 anni… (Cosimo D’Amato, ndr) che assieme a lui siamo andarti nel molo… nel porticciolo di Porticello… e c’erano lì i Natanti diciamo attraccati… siamo saliti sopra un peschereccio e nei fianchi c’erano legati delle fune…; […] quindi siamo saliti a bardo di questo Natante e abbiamo tirato la prima”. Così è stato recuperato l’esplosivo che poi verrà portato in un magazzino, posto sotto sequestro, dove il materiale verrà lavorato e “macinato” . Le lamiere dei residuati bellici, come spiega Spatuzza, verranno nuovamente gettate in mare, per non destare sospetti. Spatuzza racconta ai magistrati anche del pomeriggio della strage di Capaci e della corsa fatta per nascondere il resto dell’esplosivo. E dell’avvio della fase stragista… “lì – spiega Spatuzza – è iniziato tutta la campagna diciamo delle stragi … perché si cerca sempre esplosivo, dopo le stragi di Palermo, quindi entriamo in una fase… diciamo… di cercare sempre… esplosivo… esplosivo… esplosivo”. La fase di Cosa nostra che il collaboratore di giustizia chiamerà “terroristico – mafiosa”
Trackback dal tuo sito.