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Alla “corte” del padrino Messina Denaro

di Rino Giacalone il . Senza categoria

Matteo Messina Denaro non perde la sua “corte”. Cadono le teste, ma altre sono pronte a rialzarsi per dare manforte al “padrino”. Ricercato dal 1993 resta imprendibile. Subisce duri colpi come quello ultimo di ieri conseguenza dell’operazione antimafia condotta dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani coordinati dalla Procura distrettuale di Palermo. In totale ci sono stati sedici nuovi arresti e una sfilza di indagati a piede libero. Arresti, sequestri e confische per milioni di euro ancora non risultano sufficienti a sconfiggere Cosa nostra trapanese nelle mani di Matteo Messina Denaro. Attorno al campo mafia resiste la solita cerchia di “adulatori”, di soggetti che ambiscono a toccare il boss che però continua a ben guardarsi dall’incontrare qualcuno e dall’usare internet e skype, come pare usino fare i suoi fiancheggiatori, per i messaggi il “padrino” belicino continua ad utilizzare i classici “pizzini” con i quali governa i suoi affari, droga, appalti….e campagne elettorali.

A proteggere il boss al solito ci sono politici, commercianti, colletti bianchi, parenti, familiari e manovalanza della ordinaria criminalità. Come accade al tiro a segno, caduta una testa ce ne è sempre un’altra pronta a rialzarsi. Il fine è sempre uguale, occuparsi di sostenere economicamente la cosca e quindi di foraggiare le necessità del super ricercato al quale i “piccioli” non devono mai mancare. Sempre identici gli affari, droga, appalti ed estorsioni. Non cambiano nemmeno le dichiarazioni di magistrati e investigatori lesti nel dire dopo ogni blitz che la cattura di Matteo Messina Denaro è imminente. Un ritornello che da troppo tempo si sente dire. Verrà il giorno della cattura, intanto a Castelvetrano chi auspica che davvero l’arresto possa essere imminente si è visto bruciare la casa, chi decide di impegnarsi nell’antiracket ha avuto bruciato il locale, chi dice che a Castelvetrano la cultura imperante è quella mafiosa si vede pubblicamente attaccare da politici fin troppo suscettibili, dalla coda di paglia? Intanto in manette è finito la scorsa notte un consigliere comunale abile nei pestaggi ordinati dalla cosca. Si chiama Calogero “Lillo” Giambalvo, 38 anni, molto vicino a un deputato regionale, Paolo Ruggirello, deputato questore all’Ars, leader di un partito tutto siciliano, “Articolo 4”. Giambalvo pochi giorni addietro è stato spettatore silenzioso durante la seduta consiliare straordinaria dedicata proprio al fenomeno mafioso. C’era anche Crocetta, il presidente della Regione che a chiare lettere ha denunciato la presenza, nel territorio trapanese in particolare, di politici eletti dalla mafia. Il resto dell’aula alla fine ha mormorato malamente sul fatto che si parla, e si scrive, troppo male della città. Addirittura un consigliere si è lagnato del fatto che “stando con una prostituta a Barcellona quando questa seppe che egli era di Castelvetrano gli chiese se fosse mafioso”. Ci sarebbe da riderci, invece vien da piangere.

L’indagine esplosa con i 16 arresti della scorsa notte  è stata denominata “Eden 2” perché non è altro che il prosieguo di un’altra inchiesta (già approdata a dibattimento dinanzi al Tribunale di Marsala) che vide finire in cella anche la sorella del super latitante Matteo, Patrizia Messina Denaro. Adesso in carcere c’è finito un nipote acquisito del super latitante, Girolamo “Luca” Bellomo, palermitano, 37 anni, marito dell’avv. Lorenza Guttadauro, figlia e nipote di mafiosi di rango, i Guttadauro di Bagheria e di Messina Denaro di Castelvetrano. L’avvocatessa Guttadauro nel processo scaturito dal blitz “Eden” è difensore del fratello, Francesco, il pupillo del super boss, in carcere da dicembre scorso. Mentre lei, l’avvocato Lorenza Guttadauro, si occupava di processi, il marito pare andasse in giro per mezzo mondo, da Parigi alla Colombia, interessandosi agli affari della “famiglia” Messina Denaro, gli investigatori dei Carabinieri lo hanno indicato come “l’ambasciatore” del clan se non come il nuovo referente di Messina Denaro. E’ lui, Luca Bellomo a dare gli ordini. La notte scorsa il resto degli arresti i carabinieri li hanno fatti a Castelvetrano, nella città dove il sindaco Felice Errante (uomo del ministro Alfano) per cacciare via la brutta nomea ha esordito giorni dopo la sua elezione dicendo che “Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi”. E invece il blitz ha fatto scoprire l’esistenza di una città vessata dalla mafia con pestaggi e rapine cruenti. Gli arrestati sono accusati di essere manovalanza in grado di usare la mano pesante, per vendicare onore lesi e tutelare il “buon nome” dei Messina Denaro. Contestata è una maxi rapina ad una azienda concessionaria Tnt (Ag Trasporti di campobello di Mazara confiscata ad un prestanome dei Graviano): 600 colli di ceramiche e 17 mila euro in contanti, “colpo” utile a mettere in cassa denaro contante: “sti piccioli sunnu di Matteo” Agli atti anche la storia di un imprenditore, Giuseppe Amodeo, che voleva costruire un centro commerciale, “Aventinove”: avrebbe potuto cominciare a costruire non l’ha potuto fare perché decise di sottrarsi alle richieste dei mafiosi mandati da Bellomo, che gli volevano imporre tutto, dall’impresa costruttrice ai materiali. Beffa delle beffe l’imprenditore qualche mese dopo si è ritrovato destinatario di un provvedimento di sequestro di beni. Stranamente l’amministratore giudiziario non si è accorto di quel progetto pronto da cantierare. Sono tanti i risvolti di questo blitz. Dai ristoratori fratelli Cacioppo, Rosario e Leonardo, che giorno per giorno si allenavano all’uso delle armi alle dichiarazioni del cugino del boss, Lorenzo Cimarosa, fino a quelle di Salvatore Lo Piparo, comparsa della soap opera della Rai “Agrodolce”, dove vestiva gli abiti di un poliziotto. A disposizione del clan anche un elettrauto abile nel bonificare da “cimici” le auto, e un impiegato della motorizzazione pronto a svelare le proprietà di eventuali auto sospette in giro per Castelvetrano. In manette è anche finito uno che si definisce “autentico anarchico”, Peppe Fontana soprannominato Rocky. Dal carcere dopo vent’anni di detenzione è uscito tre anni addietro. Trafficante internazionale di droga per i giudici, lui dice di essere stato un “prigioniero di Stato”.  Amicizia ferrea tra lui e Matteo Messina Denaro, tanto che a Fontana una volta libero furono consegnati gli ori della famiglia Messina Denaro. Un maldestro ladro pensò di andare a rubarli, scoperto il ladro questi subì un violento pestaggio quasi da ucciderlo: fu sequestrato e rinchiuso in un casolare e massacrato di botte. Bellomo per lui non ebbe pietà, “gli ha fottuto 60 mila euro d’oro, alla madre di Matteo… 60 mila euro d’oro, tutto, proprio da lei, l’oro pure della signora Lucia avevano preso”. A eseguire il pestaggio sarebbe stato proprio il consigliere comunale Lillo Giambalvo che giorni dopo commentando con altri le proprie “gesta” fu ascoltato dispiacersi del fatto che aveva sporcato di sangue un maglione al quale teneva tanto.

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