Nell’aula del tribunale di Bologna: per e con Giovanni Tizian
E’ stato in silenzio e si è quasi nascosto dietro i suoi legali. Nicola Femia, l’imprenditore accusato di collusioni con la ‘ndrangheta,ha sentito Giovanni Tizian senza fiatare,senza una parola, dopo le tante minacce che ha lanciato contro il nostro collega giornalista, anche durante il processo di Bologna. Il loro sguardo in aula non si è mai incrociato. Ma le parole di Giovanni Tizian pronunciate davanti ai giudici hanno colpito Nicola Femia. Lo stesso imprenditore che avrebbe voluto fargli sparare in bocca per impedirgli di proseguire il lavoro di inchiesta sulla penetrazione delle mafie in Emilia Romagna, con le notizie che lo riguardavano e che denunciavano quanto Femia fosse vicino ai clan. Giovanni Tizian all’epoca scriveva (precario e per pochi euro ad articolo) per la Gazzetta di Modena, e nei suoi servizi sul gioco d’azzardo spuntavano i casalesi e la ‘ndrangheta e con loro Femia. L’imprenditore è stato arrestato e adesso sotto processo e Tizian è parte civile, perché persona offesa dalle minacce di “sparargli in bocca” di un’ndranghetista al telefono con una persona che faceva da segretario dell’onorevole Giovanardi, come è emerso dall’udienza del processo di Bologna nell’ultima udienza del 14 novembre.
Chiamato a testimoniare in aula davanti agli imputati, Giovanni Tizian ha ripercorso la sua attività, gli articoli su Femia,le minacce ela protezione che ha ancora oggi, che lo limita nel suo lavoro di giornalista, ma che deve continuare ad avere perché i pericoli,per lui ,non sono diminuiti. È stato preciso e fermo,deciso nelle sue risposte.. All’imprenditore imputato per tutta la durata della deposizione neanche uno sguardo, mentre i familiari di Femia si sono messi vicino all’entrata dei testimoni,separati ,per fortuna, da chi entrava dalla presenza di un Carabiniere. Mentre in aula molti ragazzi delle scuole e di LIBERA, che come ad ogni udienza hanno affollato lo spazio del pubblico,per riaffermare la voglia di legalità e di giustizia di chi vuole fermare la penetrazione delle mafie nell’economia e nella società della regione. E per riaffermare questi principi anche di fronte ai familiari dell’imputato, ai suoi amici e sodali che presenziano alle udienze del processo. In questa ultima udienza la tensione era palpabile,perché è da quelle minacce a Tizian che il processo è diventato un momento di rilievo nazionale nella lotta alle mafie. Giovanni rispondendo alle domande del pm Caleca è stato molto preciso nelle risposte al Pubblico Ministero ed agli avvocati,sia di parte civile che della difesa: Tizian è partito dal 2010 quando ha scritto per la prima volta il nome di Femia sul giornale, collegandolo ad un’operazione contro il clan dei Casalesi per poi arrivare al 2011 quando l’imprenditore è sbottato e non sopportava più il lavoro svolto dal giornalista. E poi il giorno in cui é arrivata la comunicazione da Modena che da quel momento si sarebbe mosso sotto tutela della polizia. Era in pericolo, ma nessuno gli spiegò, come ha detto oggi in aula, il motivo che si celava dietro quella improvvisa presa di posizione della procura di Bologna e del prefetto di Modena.
Per un’ora Giovanni ha così risposto a tutte le domande, anche sulle sue origini calabresi. La Calabria che gli ha dato dolore perchè li è stato ucciso suo padre, vittima innocente della ‘ndrangheta, ricordando anche le indagini indirizzata su due piste,una delle quali certamente falsa ed oltraggiosa per la vittima,siano a quando la sua famiglia è stata costretta a spostarsi in Emilia Romagna, quando Giovanni Tizian aveva pochi anni. Nell’udienza non sono serviti a nulla le incursioni, durante la deposizione, tentate dagli avvocati difensori, nel tentativo di innervosire il teste o impedirgli di raccontare storie che mettevano in risalto l’azione di Femia collegata ai casalesi e alla ‘ndrangheta. Giovanni era assistito dall’avvocato Enza Rando,parte civile per LIBERA, la quale ha ricordato che Femia, dopo il suo arresto aveva querelato il giornalista, e queste denunce temerarie sono state tutte archiviate. Un’udienza importante: Giovanni Tizian è uscito a testa alta dall’aula, passando davanti al figlio di Femia, alla moglie e all’amante russa dell’imprenditore che hanno voluto essere presenti alla testimonianza, coraggiosa e precisa, di un giornalista che affronta ogni giorno il pericolo per aver voluto fare il suo lavoro con scrupolo. Lavoro che continua, oggi con le inchieste per l’Espresso; e con l’impegno con i giornalisti minacciati. Perché sono ancora tanti, troppi i giornalisti che per le loro inchieste vanno incontro a minacce; più di 2000 dal 2006 ad oggi, mentre nei primi 319 giorni del 2014 si sono aggiunte minacce a ben 352 giornalisti. Una realtà da affrontare, subito, respingendo anche con la testimonianza, ferma e precisa di Giovanni Tizian, con la presenza delle istituzioni nell’aula del tribunale, il sindaco di Modena; e con la partecipazione all’udienza dell’Ordine dei Giornalisti con il suo presidente Iacopino e Libera Informazione, che sulla difesa dei giornalisti ,sia dalle minacce fisiche che dalle Querele Temerarie, ha impostato da anni il proprio lavoro nei territori infestati dalle mafie. E torneremo in quell’aula di tribunale;per Giovanni Tizian, per contrastare le minacce ai giornalisti e per riaffermare l’esigenza di legalità e giustizia, a difesa della democrazia e della vera libertà di stampa.
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