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Trattativa Stato – mafia: al Quirinale una giornata particolare

di Gianni Bianco il . L'analisi

Con altre decine di giornalisti ho trascorso un’intera mattinata davanti al Quirinale aspettando che si concludesse l’attesa udienza del processo sulla trattativa Stato – mafia con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nelle vesti di testimone. E nelle sei ore trascorse dietro a quel nastro blu davanti al portone d’ingresso, in compagnia di tanti illustri colleghi che una vita intera hanno speso a raccontare la mafia, ho avuto modo di ripensare a quel che stavamo vivendo.  Una giornata storica, certo, visto che mai un presidente in carica era stato ascoltato in un processo in corso, per di più con la corte in trasferta a Roma e per giunta su una materia talmente delicata come l’ipotesi di un patto tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.

Ma ancor più di quello che stavamo vivendo e delle valutazioni che se ne potevano fare (se come ha scritto qualcuno quell’audizione fosse una forzatura o piuttosto come hanno sostenuto altri assolutamente necessaria, anche a seguito di quanto detto da Napolitano davanti alla Corte d’assise di Palermo)  a farmi riflettere è stato un altro aspetto. Provando per un attimo ad astrarsi dal contesto, facendo lo sforzo di resettare per un istante quanto di eccezionale l’attualità ci metteva quel giorno sotto gli occhi, mi colpiva il fatto che per un giorno la lotta alla mafia era tornata in cima all’agenda politica e dei media, oggetto di confronto e dibattito al più alto livello istituzionale, nelle stanze della prima carica dello Stato.

C’erano state polemiche e tensioni prima, un conflitto d’attribuzione tra Procura e Quirinale davanti alla Corte Costituzionale. Ma quel giorno, in ogni caso, i magistrati del pool di Palermo, da sempre prima linea nel contrasto a Cosa nostra, simbolicamente portavano il frutto del proprio delicato e pericoloso lavoro fin sul Colle più alto, imponendo al Paese l’urgenza e la necessità di una guerra, che non può essere combattuta soltanto dalla trincea di un ufficio di procura di frontiera, ma che chiede il coinvolgimento pieno di tutti i cittadini Italiani, rappresentati quel giorno, al più alto livello, dal capo dello Stato.  E così quella deposizione che gli stessi magistrati hanno definito una “lezione di democrazia”, al netto delle critiche e di alcuni veleni, poteva forse essere vista simbolicamente anche così.

Come la prova generale di altre giornate, che quanti si occupano di questi temi sperano si possano presto vivere. Giornate in cui, lasciando che il processo in oggetto faccia il suo corso, lo Stato dia ancor più valore e rinnovato sostegno all’impegno della magistratura antimafia, cosa che peraltro ha sempre avuto a cuore anche Loris D’Ambrosio, già collaboratore di Falcone ed ex consulente giuridico del Quirinale, al centro dell’audizione di Napolitano. Giornate con altrettante telecamere, registratori e taccuini,  pronti a  registrare questa volta davanti al Parlamento o a Palazzo Chigi, il varo di provvedimenti più incisivi (ad esempio, su corruzione e antiriciclaggio, beni confiscati e tutela dei testimoni di giustizia) che possano rendere più agevole il lavoro di quei magistrati e più efficace il contrasto alle organizzazioni criminali.

 

 

 

 

Gianni Bianco, giornalista Rai –  Tg3

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