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Lotta alle mafie: siamo ancora a metà dell’opera

di Nicola Tranfaglia il . L'analisi

Dopo quattro giorni di dibattito a cui hanno partecipato settemila persone, trenta gruppi di lavoro e duecento relatori con contributi di scrittori, professori, amministratori e rappresentanti sindacali del terzo settore, la recente edizione di Contromafie ha messo – ancora una volta – l’accento sulla necessità di una lotta efficace (che non c’è ancora) nel nostro Paese contro la mafia e la corruzione che devastano senza tregua l’economia, la politica e la vita civile della penisola. Basta leggere un’inchiesta recente (e non soltanto i classici come il libro ottocentesco  di Franchetti o quello che è, a mio avviso, il capolavoro di Dalla Chiesa che si intitola “La convergenza” (Melampo, 2010) come quella condotta a Buccinasco, vicino Milano, da Nando Dalla Chiesa e Martina Panzarasa, per rendersi conto appieno dell’assalto che le mafie – nel caso specifico la ‘ndrangheta portano contro la società italiana. Sentite l’inizio dell’inchiesta che comunica plasticamente la violenza e l’asprezza dello scontro che si determina in simili circostanze:” Un esercito brulicante e operoso invade le economie del mondo.

Avanza in ordine sparso ma con scientificità di metodi. Le sue truppe, invisibili in movimento, si materializzano sul luogo di arrivo. Procede con la lentezza dei giorni sempre uguali ma vince con la velocità di un fulmine. E’ l’esercito della ‘ndrangheta, l’organizzazione di stampo mafioso della Calabria e che in Calabria ha mantenuto la sua testa e la sua anima. Dalla Chiesa ricorda che ancora alla fine del 1982, quando erano appena avvenuti gli omicidi La Torre e Dalla Chiesa, la ‘ ndrangheta  era indicata tra le altre “associazioni localmente denominate” ed è stato necessario attendere il febbraio 2010 perché trovasse in una legge il medesimo rango di pericolosità di mafia e camorra. Il nostro Paese, oscilla ormai da più di un ventennio, tra la barbarie e una raffinata civiltà e sembra non riuscire ad uscire mai da questo tragico dilemma. Siamo stati tra i primi ad affrontare il pericolo della mafia per ragioni storiche (è il terzo secolo in cui questo nemico è presente nelle nostre contrade ed è peggio – sicuramente – delle pur sanguinose guerre che l’Italia ha dovuto sostenere negli oltre centocinquant’anni della sua esistenza come Stato della vecchia Europa) e non ne siamo ancora neppure lontanamente usciti.

Anche perché abbiamo ripetuto sempre lo stesso errore: abbiamo alternato sempre, parlo ovviamente delle classi dirigenti e non degli italiani tout court, la repressione alla connivenza, le complicità alla battaglia con le armi e le leggi e quando il nemico sa che l’ordine non è saldo e che i suoi complici sono anche loro sul posto di comando non abbocca e continua con i suoi mezzi la lotta. Così siamo stati tra i primi ad adottare la confisca dei beni di mafia ma non siamo stati in grado di farne un uso adeguato, non abbiamo ancora un reddito di cittadinanza come sarebbe necessario per la grave crisi economico-sociale (oltre che morale) che stiamo attraversando da più di sette anni, non abbiamo posto più al centro della nostra politica la scuola e l’università come pure sarebbe necessario per le nuove generazioni, per l’Italia di domani, non siamo insomma riusciti a rompere i legami tra la mafia e la corruzione né a mobilitarci interamente come italiani contro la corruzione che caratterizza le nostre istituzioni politiche e civili. Insomma, detto in altre parole, restiamo sempre a metà dell’opera pur essendo stato il Paese che, potremmo dire, è stato attaccato prima, e con maggior forza degli altri, dalle mafie di cui continuiamo ad essere forti esportatori.

 

 

 

Nicola Tranfaglia è uno storico, politico e docente universitario. E’ stato deputato nella Quindicesima Legislatura, attivo nelle Commissioni Cultura e in quella di Vigilanza.  Dal 3 dicembre 2007 è professore emerito di Storia dell’Europa e del Giornalismo nell’Università di Torino. Collaboratore di Articolo21.org, portale per la libertà d’espressione che riunisce esponenti del mondo della comunicazione, della cultura e dello spettacolo; giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

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