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Decostruire la ʼndrangheta

di Matteo Dalena il . Calabria

L’intervista allo storico John Dickie presto in Calabria per un nuovo documentario// – Il termine britannico è «deconstruct», vale a dire letteralmente smontare, decostruire pezzo per pezzo, un meccanismo per rendersi conto degli elementi che lo compongono, stabilirne l’esatta configurazione. Ed è il principale approccio metodologico utilizzato in tema di ʼndrangheta, o meglio di discorsi sulla ʼndrangheta, frutto di sedimentazioni e cementificazioni realizzatesi in tempi diversi. Lo storico opera su queste costruzioni discorsive che, provenienti da epoche diverse ma non lontane dalla nostra, vengono a interrogare il presente e, dunque, i suoi indagatori. Dinanzi a fenomeni storici che riguardano un passato recente, storici come John Dickie – professore di studi italiani all’University College di Londra – preferiscono un approccio pratico che non disdegna la presenza attiva sul “campo di battaglia”, gomito a gomito con poliziotti, magistrati e testimoni di giustizia e nei recessi di un Sud oscuro e impenetrabile.
Professor Dickie, partiamo dal documentario Mafia Bunker. L’abbiamo vista calarsi nei cunicoli di una Calabria che si nasconde, sporcarsi le mani oltre che con la polvere degli archivi con il fango di gallerie sotterranee. Qual è il ruolo dello storico di professione nella lotta alla ʼndrangheta?

Ho imparato moltissimo da quella esperienza. S’impara moltissimo calandosi nel territorio che si studia anche se si tratta di un periodo storico distante. Avevo già lettori e amici tra forze dell’ordine e magistratura ma vederli a lavoro è stato un enorme privilegio. Avevamo una bella storia da raccontare e un aspetto strano del fenomeno mafia da far capire a un pubblico non molto addentro nell’argomento. Non potevo permettermi di fare lunghi discorsi da storico anche se ogni tanto qualche battuta è scappata. Per uno storico delle mafie come me, è importante vedere il teatro della storia, ma più importante ancora è il dialogo con professionisti impegnati in prima linea. Spero che anche loro possano imparare qualcosa dagli storici.
Leggendo opere che si occupano di storia della ʼndrangheta, a partire dal suo Mafia Republic, mi è spesso venuta in mente questa immagine: un gigante con i piedi ben radicata nel profondo della propria terra e la longa manus protesa verso altri, nuovi mondi. Dunque radici ma anche mentalità globale, arcaismi e ultratecnologia, santino e conto in banca. Come spiega questa immagine dicotomica?

Non vedo arcaismi nella ʼndrangheta. I riti o ad esempio i miti come quello di Osso, Mastrosso e Carcagnosso sono cose nuove, inventate alla fine dell’Ottocento. Come del resto il familismo della ʼndrangheta di cui parlo nel mio Onorate società è anche questa una invenzione. I primi ʼndranghetisti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento erano tutti dei “magnaccia”, non erano affatto familisti, erano quasi tutti sfruttatori di prostitute. Sono falsi arcaismi, hanno l’aria di esserlo per infondere carisma all’organizzazione ma in genere si tratta di visioni troppo lusinghiere. Questi criminali non sono l’espressione del profondo della cultura calabrese, la ʼndrangheta è un sintomo della modernità: un tipo di modernità sbagliata ma comunque un fenomeno della modernità. Si è mossa lungo i grandi flussi migratori dell’inizio del Novecento su quelle navi a vapore che cominciano a creare un “mondo nuovo” avvicinando le due sponde dell’Atlantico. In Calabria ha preso il potere tra anni ’80 e ’90 dell’Ottocento con la democrazia, ma una forma molto limitata di democrazia. Ancora una volta modernità e non arcaismo, non cose della cosiddetta Calabria profonda.

La macchina del mito della ʼndrangheta si è incrementata con la pubblicistica degli ultimi anni che ha creato un vero e proprio “mostro” solo apparentemente invincibile. Cosa ne pensa?
Ho notato una tendenza ad esagerare il potere della ʼndrangheta, a vedervi questo enorme mostro internazionale che controlla la finanza o la city di Londra. Un conto è il riciclaggio dei profitti della droga a livello internazionale, un altro conto è controllare la borsa di New York, di Francoforte o di Londra. Siamo su altri livelli con forme di illegalità anche lì. La ʼndrangheta non è l’unico attore criminale persino in Calabria dove esistono altre “cricche” di malaffare che a volte hanno legami con la ʼndrangheta, a volte no, a volte si contrappongono persino a essa. Non tutto quello che non è ʼndrangheta è pulito, legale. Bisogna procedere caso per caso per vedere qual è il ruolo della ʼndrangheta in ogni singolo episodio di malaffare e criminalità, altrimenti rischiamo di far sembrare la ʼndrangheta invincibile.

 

Professore la rivedremo presto in Calabria? Quali nuove direzioni stanno prendendo le sue ricerche?
Sto mettendo insieme un piccolo gruppo di giovani studiosi alcuni australiani altri calabresi per lavorare sulla ʼndrangheta in Australia. Sociologi e storici in dialogo, al vaglio di buone idee ma senza finanziamenti. Tornerò presto in Calabria per un nuovo documentario ma non posso dirvi altro.

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