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Mafie e amnesie sul litorale romano

di Edoardo Levantini il . Lazio

Il 18 settembre scorso davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle intimidazioni agli amministratori locali  sono stati ascoltati quattro sindaci delle città più importanti del litorale e tra le più grandi del Lazio per territorio ed abitanti: il sindaco di Ardea Luca Di Fiori (Centro destra), il primo cittadino di Aprilia Gianni Terra (liste civiche), il sindaco di Nettuno Alessio Chiavetta (Centro sinistra) e il collega di Pomezia Fabio Fucci (Movimento 5 stelle).  L’unico di questi amministratori locali che riconosce l’esistenza sul suo territorio delle mafie è il sindaco di Nettuno (la cui amministrazione è al centro di numerose indagini per reati contro la pubblica amministrazione e di un forte clima d’intimidazione). Per gli altri le mafie sui loro territori non ci sono o almeno loro non le vedono. Si va dal sindaco di Ardea (la cui amministrazione vanta il record di intimidazioni nel Lazio) il quale rammenta in passato solo del boss siculo Frank Coppola. Non ricorda il sindaco dei maxi sequestri di beni alla ‘ndrangheta, degli attentati alle attività commerciali, dei maxi sequestri di droga delle indagini per omicidi e traffico di droga che coinvolgono clan di siciliani e calabresi operativi anche nella cittadina rutula. Per il sindaco di Aprilia, il “civico” dr Terra, c’era sicuramente un illegalità diffusa nella pubblica amministrazione e un grave problema attuale legato ai rom.

 

Eppure sono state emesse significative misure di prevenzione patrimoniale e personale eseguite nel 2013 nel territorio a carico di 4 soggetti, 3 di origine calabrese ed uno siciliano da tempo radicati ad Aprilia. Nei confronti di tali soggetti infatti sono stati sequestrati beni per complessivi 35 milioni di euro. Non solo: numerosi anche gli attentati ed intimidazioni contro imprenditori locali del 2011,2012 e 2013. Oppure le sentenze di tre diversi giudici – in primo e in appello – che statuiscono l’operatività tra Nettuno, Anzio e Aprilia di una costola del clan dei casalesi. La sorpresa arriva dal sindaco Fucci del  Movimento 5 stelle che afferma: “Non ho percezione di fenomeni di criminalità più ampia, grave o estesa. Non insistono nel territorio del Comune di Pomezia atti o atteggiamenti che possano far pensare a fenomeni più grandi di criminalità organizzata”. Eppure Pomezia è stata anche al centro di una sorta di “tangentopoli” locale, come raccontarono all’epoca due cronisti, Moira Di Mario del Messaggero e Alessandro Fulloni del Corriere della sera, l’inchiesta alla fine degli anni ’90 partì perché una micro spia, piazzata nella golf di un esponente della malavita, svelò rapporti tra lo stesso e numerosi esponenti politici, svelando anche una campagna intimidatoria messa in campo da due organizzazioni criminali. Tutto riscontrato ovviamente dalle indagini del sostituto procuratore della Dda di Roma Diana De Martino e degli investigatori dell’arma di Pomezia e Frascati. Per non parlare poi dei due attentati contro sale slot avvenuti in un anno a Pomezia delle gambizzazioni e dei tentati omicidi tutti fatti – sicuramente – di piccola criminalità.

Le Commissioni parlamentari d’inchiesta, lo ricordiamo, in questo Paese hanno svolto spesso un ruolo di denuncia, di stimolo e di proposta all’azione politica. Quasi sempre disatteso dalle classi dirigenti. E’ il caso della commissione parlamentare antimafia e delle sue relazioni di maggioranza e minoranza che denunciano prima l’infiltrazione e poi il radicamento mafioso al nord. Per arrivare poi agli anni ’90 con la relazione sui rapporti tra mafia e politica che riguarda tutti gli amministratori e i rappresentati politici che, ad ogni livello, rappresentano lo stato. La relazione (a.d. 6 aprile 1993 relatore on. Luciano Violante) scriveva: “la responsabilità politica si caratterizza per un giudizio di incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche e quelle funzioni,sulla base di determinati fatti, rigorosamente accertati, che non necessariamente costituiscono reato, ma che tuttavia sono ritenuti tali da indurre un giudizio di incompatibilità”.Basterebbe poi ricordare la relazione sulla ‘ndrangheta della commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione che molti politici del nord dalla Valle D’Aosta alla Lombardia accolsero come lesa maestà.

 

Quello che emerge da quest’audizione – nonostante che della presenza delle mafie nel litorale parlino da decenni sentenze, indagini delle procure di Roma, Napoli, Catanzaro, Catania e Reggio Calabria nonché le relazioni della commissione antimafia – è però desolante. L’antimafia sembra questione solo della procura distrettuale, degli investigatori e di pochi intimi. Mentre una parte della politica locale fatica a farsi carico di questa importante battaglia per la giustizia sociale e la legalità nel Lazio.

 

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